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Che genere di cultura vogliamo?

Il sessismo è parte integrante del tessuto delle istituzioni, del linguaggio e della logica della società. Le immagini che vediamo, così come i testi che leggiamo e la musica che ascoltiamo, ne sono uno specchio. Se esso riflette solo il punto di vista di una determinata maggioranza è probabile che vengano perpetuati sessismo, stereotipi e rappresentazioni errate delle minoranze. L’attenzione nell’arte e nella cultura è focalizzata su un ‘canone’ che presenta il mondo attraverso un paio di lenti deformanti che non tengono conto della diversità culturale, di genere e identità, né di altri fattori quali le disabilità. Viviamo in un contesto socioculturale dove le figure di riferimento, così come la formazione, sono dominate da persone di genere maschile, preferibilmente dei secoli passati. Il programma di studi contiene poche o nessuna donna, e così le persone interiorizzano questo panorama come naturale, normale e scontato. Se si parla principalmente e quasi esclusivamente di figure maschili sarà perché non ce ne sono altre sulle quali discutere. Oppure no? Le donne non mancano di talento, bensì devono conciliare vita privata e professionale, affrontare le disparità salariali e condizioni di lavoro ostili in cui abbondano le molestie sessuali. Ciò limita le loro possibilità di crescita e prescrive loro un ruolo secondario nella società, che sia in campo politico, economico o culturale. La diversità di punti di vista e di rappresentazioni del mondo è essenziale per la democrazia e una risorsa per l’intera società. Per questo il 14 giugno torna lo sciopero femminista, per rendere giustizia a chi è stata strutturalmente e storicamente resa invisibile, discriminata ed esclusa. Siamo una marea che non si fermerà.

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