I dibattiti

Ucraina, una soluzione diplomatica è possibile

In Occidente pare prevalere l’idea di risolvere il conflitto sul piano militare. Ma di fronte a certi pericoli occorre cercare soluzioni negoziali

(Ti-Press)

A quasi un anno dall’invasione Russa dell’Ucraina, il conflitto sembra più che mai destinato a protrarsi nel tempo, rinchiuso in una dinamica di violenza risolvibile solo con l’annientamento di una delle parti. La logica dell’escalation ha finito per imporsi, alimentata sia dalla Russia che dalla Nato, entrambe guidate dalla volontà di risolvere il conflitto sul piano militare. In Occidente si è fatta strada la convinzione che questa prospettiva sia inevitabile, complice una narrazione mediatica manichea che presenta la vittoria dell’Ucraina sul campo di battaglia come l’unica soluzione possibile e moralmente accettabile. Si tratta di una situazione estremamente pericolosa, che rischia di trasformarsi in una spirale fuori controllo: ad ogni alzata di asticella, ci avviciniamo ad una guerra totale, di portata mondiale e forse nucleare. È quindi più che mai fondamentale ribadire che questa guerra potrà essere risolta sul campo di battaglia solo con costi umani e ambientali incalcolabili, e che una soluzione diplomatica al conflitto è non solo urgente e necessaria, ma anche possibile.

Al di là degli appelli e delle dichiarazioni di principio in questo senso (invero piuttosto sparuti dalle nostre parti, forse anche per timore della gogna mediatica), quali potrebbero essere i termini di un accordo di pace concreto e realista che metta fine il prima possibile al conflitto? Dick Marty, da attento osservatore delle dinamiche internazionali, ha già ribadito più volte la necessità di riconoscere che la guerra in Ucraina coinvolge in modo più o meno diretto un numero importante di Stati e che qualsiasi soluzione diplomatica richiederebbe un intervento della comunità internazionale. I Finlandesi Tapio Kanninen e Heikki Patomäki, rispettivamente presidente dell’organizzazione Global Crisis Information Network di New York (e già direttore della pianificazione politica al dipartimento affari politici dell’Onu) e professore di politica mondiale ed economia politica globale all’Università di Helsinki, hanno recentemente avanzato delle proposte più articolate in tal senso.

Cambiare le condizioni

Ogni accordo di pace è il frutto di un compromesso, per cui è fondamentale che qualsiasi soluzione diplomatica offra delle condizioni accettabili sia per l’Ucraina che per la Russia. Nel caso concreto, si tratterebbe di assicurare ai primi che l’invasione russa non verrà premiata con concessioni territoriali importanti e che l’accordo non condurrà ad una destabilizzazione del sistema internazionale, e di assicurare ai secondi un ridimensionamento della Nato e il non-allineamento militare dell’Ucraina, le loro preoccupazioni in materia di sicurezza nazionale di fronte all’espansionismo atlantico essendo legittime, come esplicitato da Kanninen e Patomäki. Queste premesse non sarebbero però una condizione sufficiente per aprire i negoziati, come testimoniato dai timidi tentativi di dialogo avvenuti sin qui: è necessario rimescolare le carte per assicurare che le parti in causa si mettano al tavolo delle trattative con la volontà di accettare un compromesso che tenga conto degli interessi di entrambe le parti. La proposta più interessante in tal senso è venuta da Oscar Arias (premio Nobel per la pace nel 1987 e già presidente del Costa Rica) e Jonathan Granoff (presidente del Global Security Institute), che hanno proposto che la Nato cominci a pianificare il ritiro di tutte le testate nucleari in Europa e in Turchia a monte dei negoziati – il ritiro effettivo sarebbe naturalmente successivo alla stipulazione di un accordo di pace tra Russia e Ucraina. Una tale premessa cambierebbe radicalmente le condizioni negoziali, mettendo il governo russo nella condizione di accettare l’integrità territoriale e l’indipendenza ucraina in nome della propria sicurezza.

Il ruolo dell’Onu

Al contempo, un eventuale accordo di pace dovrebbe contemplare la definizione di una zona demilitarizzata e una missione di pace dell’Onu. Come sottolineano Kanninen e Patomäki, non sarebbe la prima volta che l’Onu amministrerebbe delle zone demilitarizzate e dei territori sotto tutela nel quadro di una missione di pace. Bisogna quindi prendere seriamente in considerazione l’opzione d’imporre la demilitarizzazione dei territori contestati nell’est ucraino (il che naturalmente andrebbe accettato anche dalla Nato) e di piazzarli temporaneamente sotto l’autorità dell’Onu, la quale si occuperebbe non solo di assicurare il cessate il fuoco durante le trattative, ma anche di amministrare e ricostruire questi territori entro i termini definiti dall’eventuale accordo di pace.

Paesi terzi e neutralità

Tutto ciò richiederebbe naturalmente l’assistenza di Paesi terzi, come per qualsiasi altra guerra della storia. Non solo gli Stati Uniti e la Nato dovrebbero convincere l’Ucraina a mettersi al tavolo negoziale, ma sarebbe necessario implicare degli Stati considerati esterni al conflitto da entrambe le parti per fungere da mediatori e facilitare il dialogo – Stati che potrebbero essere inoltre spalleggiati da rappresentanti di istituzioni come la Corte internazionale di giustizia e la Corte permanente di arbitrato, come ricordano Kanninen e Patomäki. E al riguardo bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare: la proposta del Partito Comunista di puntare sulla neutralità per permettere alla Svizzera d’intervenire come mediatore credibile e affidabile non è così campata per aria (contrariamente a quanto affermato anche su questo giornale), ma al contrario potrebbe essere determinante per assicurare una rapida risoluzione del conflitto in conformità con le proposte concrete dei due esperti finlandesi.

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