I dibattiti

Se le finanze fanno l’economia

In Ticino, Finanze ed Economia sono riunite in un solo dipartimento (Dfe): un unicum che la dice lunga su un certo modo d’intendere l’economia

(Ti-Press)

Ci sono segnali che dicono molto; l’etichetta spiega tante cose a livello di sostanza, di approccio e di mentalità. Mi riferisco oggi al fatto che, in Ticino, Finanze ed Economia sono riunite in un solo dipartimento (Dfe): non mi risulta che vi siano altri Cantoni in cui questo accade, e come si sa non funziona così neppure a livello della Confederazione. Non è solo, ma lo è anche, conseguenza del solito approccio partitico che tanto ci piace; in cui sono i liberali, per retaggio storico e per diritto "divino" più che per accertato patrimonio genetico o per acclarate competenze, a doversi occupare sia di soldi che di economia. E non si tratta neppure di una questione nominalistico-logistica, puramente formale. È invece lo specchio un po’ preoccupante di un modo d’intendere l’economia, e soprattutto il ruolo dello Stato in ambito economico.

Si ritiene, in sostanza, che debba essere chi tiene i cordoni della borsa dello Stato (mettendo in fila i più e i meno e facendo somme e sottrazioni) a dover anche gestire le decisioni dell’ente pubblico in ambito economico, e in particolare il suo ruolo nella dialettica tra Stato ed economia privata. Fare promozione economica, immaginare scenari possibili per il futuro del Cantone, valutare tutti i fattori e le condizioni-quadro che contribuiscono a fare di questo territorio un contesto valido per "fare impresa" a tutti i livelli; si tratta di un’attività in qualche modo visionaria, che poco o punto si concilia con la mentalità grigiamente contabile, un po’ da libretto della cooperativa, che informa l’attività del settore finanze pubbliche. Quest’ultima è molto utile, per carità, ma necessita di alcune doti e ne preclude altre.

Quali sono le conseguenze tangibili di questo accorpamento? È vero che non rischiamo qualche creatività contabile di troppo in nome di una visione ottimistica; anzi, il reiterato e un po’ irritante gioco è sbagliare le previsioni, e prospettare le peggio cose per il futuro senza tema (anzi rivendicando medaglie) che qualcuno chieda conto quando queste prospettazioni si rivelano puntualmente errate. Oltre ad aiutare i partiti(ni) dei Chicago boys, che stanno tenendo in ostaggio la politica, a fare a pezzi lo Stato a colpi di tagli indotti dalle previsioni sbagliate di cui sopra. Ma è altrettanto vero che in questo modo si rende più faticosa la riflessione su scenari futuri, si tende a rinviare questo genere di analisi, a trascurare stimoli e proposte poco banali, ad adottare atteggiamenti restii, grigi e timidi; come certi occhi buoni che compaiono in tv, certe tremende giacchette grigie da travet, certe cravattine a microdisegni.

Il problema è serio, soprattutto perché il Ticino, come luogo di attività economica, è davanti a sfide fondamentali per la propria esistenza. C’è tutta un’urgente riflessione da fare in relazione alla sopravvivenza e al ruolo futuro di alcuni ambiti del terziario, alle opportunità che si aprono per l’attività industriale (in settori da indagare e identificare). E in questo ambito al ruolo centrale che deve svolgere l’ente pubblico – e non a chiacchiere (o a sgravi fiscali), ma con soldi e idee – come promotore dell’attività economica privata in un’economia di mercato. E non basta certo, a lavarsi la coscienza, mettere tanti soldi nei soliti costosissimi contenitori, come se bastassero i muri per creare la dinamica economica; ma che altro chiedere se non un orizzonte cementizio e solido a chi fa i conti, e mette in fila attivi e passivi di bilancio? Le idee e la progettualità non hanno la concretezza e la sostanza fisica dei mattoni, ma sono più difficili da costruire e da mettere in fila. Non è certo questa politica ad aiutare in un necessario cambio di passo: gremita di mediocri e di furbastri, che hanno la durata della loro vita pubblica e il loro interesse personale come unico orizzonte, essa ci stordisce a colpi di chiacchiere, di entusiasmi fasulli e di slogan senza senso; e questo ci impedisce di sentire il fragore di un futuro al quale lo Stato ci prepara troppo poco, e che può vederci attori o vittime. Separare finanze ed economia potrebbe aiutare a dare al futuro il ruolo che gli spetta.

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