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L’ipnosi della guerra

La guerra in Ucraina ha riportato al centro della scena inquietudini che avevamo dimenticato o rimosso. Fino a ieri le preoccupazioni riguardavano piuttosto il terrorismo, su come prevenire e neutralizzare gli attentati nelle vie affollate e nei locali pubblici; pochi ritenevano ancora possibili scontri armati su larga scala alle porte orientali dell’Unione europea. Ma ecco accadere l’impensabile. «Brusco risveglio», hanno commentato in molti, aggiungendo che l’Ue camminava beata sul sentiero della fratellanza universale, non rendendosi conto che ai suoi confini la Russia ragionava in tutt’altro modo.

Ora la macchina si è rimessa in moto. Quella bellica, innanzitutto. La Germania guidata dal socialdemocratico Olaf Scholz ha deciso di riarmarsi investendo miliardi, generando qualche apprensione negli alleati, considerati i precedenti storici. Anche la Svizzera intende imprimere un’accelerazione al suo programma di armamento, invitando la sinistra, socialisti e verdi, ad accantonare dubbi e riserve sui caccia americani che il governo intende acquistare. Nel frattempo esponenti politici del centro-destra auspicano un rapido avvicinamento della Confederazione alla Nato (già fattiva nell’istruzione e nella difesa coordinata dello spazio aereo).

Ma il ritorno sul proscenio del «pensiero militare» (espressione che riprendiamo da un libro di Giorgio Galli del 2008) investe anche il «pensiero civile», ossia le ricadute nella pubblica opinione di tale riorientamento della sicurezza nazionale. In molti ambienti è giunta l’ora di rilanciare il servizio militare, disincentivando il servizio civile sostitutivo (come previsto dall’art. 57 della Costituzione) ed estendendo l’obbligo alle donne (ora su base volontaria). Un’estensione ritenuta remota persino durante gli anni della guerra fredda, nelle fasi più acute del confronto Usa-Urss.

Le guerre sono sempre state dei potenti vettori di modernizzazione e di innovazione, sia in campo tecnologico che logistico. Le due massime conflagrazioni del Novecento hanno permesso di sperimentare ogni genere di ordigno, dai gas asfissianti alla bomba atomica, ma hanno anche allargato e moltiplicato i canali d’intervento dell’amministrazione statale nel settore sociale e assistenziale («welfare»). Fu così possibile varare piani come quello approntato in Gran Bretagna da Lord Beveridge oppure – come accadde nella neutrale Svizzera – introdurre misure di sostegno agli anziani (Avs).

Anche questa volta dunque le ripercussioni saranno numerose, condizionando pesantemente le scelte politiche dei governi e dei parlamenti. In proposito è istruttivo confrontare la carta costituzionale del 1848 con l’ultima Costituzione approvata dal popolo nel 1999. Nel primo testo l’impronta militare è predominante, lascito evidente del conflitto civile del Sonderbund svoltosi l’anno prima. Vi si dice ad esempio che solo la Confederazione («Bund») ha il diritto di dichiarare la guerra e di conchiudere la pace; le capitolazioni militari, ovvero accordi con potenze straniere, sono escluse. Segue un lungo elenco di norme atte a garantire la sicurezza esterna e l’ordine interno, il tutto sotto la vigilanza attenta della Confederazione. La garanzia primaria è data infine dalla figura del cittadino-soldato (art. 18): "Ogni svizzero è obbligato al servizio militare".

Di tutt’altro tenore e impostazione è la Costituzione attualmente in vigore. Qui il legislatore ha posto l’accento sui diritti fondamentali, sulle finalità sociali, sulla dignità umana, sull’architettura federalistica e solidale, sulla casistica delle libertà. La sezione dedicata a sicurezza, difesa nazionale e protezione civile arriva solo con gli articoli 57 e 58, e con un’intonazione davvero poco marziale: «L’esercito serve a prevenire la guerra e contribuisce a preservare la pace; difende il Paese e ne protegge la popolazione. Sostiene le autorità civili nel far fronte a gravi minacce per la sicurezza interna ed altre situazioni straordinarie». Mutati i tempi, caduto il Muro, morto per collasso l’orso sovietico, la Costituzione non aveva motivo di insistere più di tanto sull’incrollabile volontà di difesa di cui avevano dato prova gli antenati.

Dallo scorso 24 febbraio poche settimane sono bastate per archiviare in tutta fretta ideali e nobili principi pacifisti. Ora perfino la sinistra che negli anni 80 aveva lanciato l’iniziativa "Per una Svizzera senza esercito e per una politica globale di pace" si ritrova divisa davanti allo spettro dell’autocrate sanguinario. Sulla sponda opposta, la sempre fiorente industria degli armamenti può finalmente scrollarsi di dosso le stimmate della riprovazione morale. L’orizzonte bellico scompiglia le convinzioni e rimescola gli schieramenti, col rischio di renderci tutti meno lucidi nel valutare la valanga di notizie che giornalmente irrompe nelle nostre case. Da sempre la guerra ipnotizza, riducendo ogni relazione alla logica binaria amico-nemico. O con me o contro di me, proprio come insegnava Carl Schmitt, il giurista-principe del Terzo Reich. Personaggio ora tenuto in gran conto dai suggeritori di Putin al Cremlino.

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