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La povertà di Stato

Il lavoratore vive nella beata illusione di essere protetto contro i danni della salute perché ben assicurato. Qui si intendono i danni economici personali per l’impossibilità di lavorare e quindi di guadagnare in via autonoma. Infatti è assicurato contro gli infortuni, contro le conseguenze della malattia e in ultima analisi, perdurando i danni alla salute, contro l’invalidità.

E così è, ma solo per casi bagatella (distorsioni di caviglie, influenze ecc.), o per i casi, rari, in cui la vita ordinaria è pregiudicata in modo orrendo. Ma non per tutti gli altri casi, che sono i più numerosi. Vediamo cosa succede nel concreto. Prendiamo il caso del muratore 60enne con le articolazioni compromesse a causa di infortunio. L’assicurazione infortuni – Suva in primis! – paga per alcuni mesi. Poi dirà che le conseguenze sullo sventurato non sono più causa dell’infortunio, ma del fatto che le articolazioni erano già compromesse per l’età. Il malcapitato, che non può più esercitare come muratore, si rivolge all’assicurazione invalidità, che è un’assicurazione di Stato. La quale arriverà ad ammettere che non potrà mai più fare il muratore, ma si inventerà un numero cospicuo di professioni che teoricamente il tapino potrebbe esercitare: addetto all’imballaggio, aiuto magazziniere, venditore in piccoli chioschi, aiuto amministrativo e via discorrendo (la cornucopia delle pietose invenzioni è infinita). E chiuderà il caso, affermando che il tapino deve arrangiarsi da solo a trovare lavoro perché le possibilità sono tante. Ora chi assume il 60enne con le articolazioni rotte? Evidentemente nessuno. Ma l’assicurazione invalidità gira la testa dall’altra parte. E il tapino, umiliato, finisce in assistenza, con l’autostima in frantumi peggio delle sue povere articolazioni.

Lo stesso vale per la 60enne segretaria che cade in grave depressione. L’assicurazione di indennità giornaliera di malattia dopo pochi mesi dirà che, sì, non potrà più fare la segretaria, ma che per altre professioni la capacità teorica al lavoro esiste. E chiude i rubinetti. L’AI la scaricherà esattamente come il muratore di prima, arrivando a dire, come è capitato nella realtà (sic.!) che potrà esercitare come etichettatrice di biancheria intima (non era specificato se maschile o femminile!). Lo Stato in via diretta (AI) o indiretta (Suva, che qualcuno si ostina ancora a prendere come esempio e modello per una riforma dell’assicurazione malattie!) sbatte nella povertà persone infortunate o malate che il mondo del lavoro (che non è Pestalozzi!) estromette inesorabilmente.

Quanto poi all’assicurazione di indennità giornaliera di malattia, che lo Stato ha di fatto privatizzato, si rivela per quello che è: un furto legalizzato. Incassa i premi e si arricchisce non pagando le prestazioni di lunga durata.

Queste sono le vergogne di Stato da cancellare in ottica umanistica e di giustizia sociale. Ma per l’attuale Parlamento il destino del lupo è prioritario. Mala tempora currunt.

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