La memoria del massacro avvenuto il 7 ottobre 2023 ha percorso le cerimonie che si sono tenute oggi in Israele, tuttavia il messaggio arrivato dal Paese non si è fermato al passato. La sintesi del lutto e della vita che deve riprendere sta tutta nelle dichiarazioni dei familiari degli ostaggi e dei rapiti tornati in patria.
"Due anni fa le nostre vite sono cambiate per sempre. Oggi i vivi hanno bisogno di riabilitazione e i morti meritano sepoltura. La fine di quest'incubo può avvenire solo con il ritorno a casa dei nostri cari", hanno detto in una voce sola.
Nella data che segna 732 giorni in cattività nei tunnel di Gaza per i circa 20 rapiti ancora in vita, e gli altri 38 morti, in tanti tra coloro che hanno fatto ritorno hanno deciso di parlare alle commemorazioni, in patria e all'estero. E hanno lasciato le loro emozioni sui social affinché tutti possano leggere e non dimenticare.
"Sono tornata fisicamente dopo 471 giorni di prigionia. Ma mentalmente non ci sono. Non sono andata a feste, concerti, vacanze, persino mangiare mi sembra sbagliato. Mi sembra ingiusto respirare aria pulita", scrive Emily Damari, la giovane israelo-britannica a cui un medico di Hamas ha amputato due dita ferite in ospedale nella Striscia. Nel suo post invoca il ritorno degli amici ancora a Gaza, Gali e Ziv Berman, "così potrò finalmente iniziare a guarire, anche nell'anima".
Eli Sharabi, la cui moglie e le due figlie sono state assassinate il 7 ottobre nel kibbutz Be'eri, ha condiviso un messaggio straziante su Facebook: "Le nostre vite serene e felici si sono trasformate in un inferno: dolore e perdita inimmaginabili mi accompagneranno in ogni momento fino al mio ultimo giorno. Desidero ardentemente le vostre anime pure, come quella di mio fratello Yossi". Sharabi ha saputo che la sua famiglia era stata sterminata dopo essere stato rilasciato. "Da quando sono stato liberato, ogni mattina scelgo di vivere pienamente, di agire e di sperare. Ora, io e tutta la mia famiglia stiamo trattenendo il respiro per i negoziati, sperando nel ritorno di mio fratello Yossi per una degna sepoltura e nella liberazione del mio caro amico Alon Ohay. E di tutti gli altri. Abbiamo sofferto abbastanza. Meritiamo una realtà diversa. Vogliamo iniziare a guarire", dice.
Un'altra sopravvissuta alla prigionia a Gaza, Maya Regev, ha ricordato i compagni di prigionia: Guy Illouz, assassinato in cattività, e Ori Danino, che le salvò la vita ed è stato ucciso quasi 11 mesi dopo il rapimento. "Penso agli angeli che abbiamo perso quel giorno: le persone che mi sono corse accanto e non sono tornate a casa, la ragazza che è venuta con me tra i cespugli del festival Nova e di cui non so più nulla. Penso ai miei fratelli che sono ancora lì, a marcire nei tunnel".
Stamattina, i parenti dei giovani uccisi al festival musicale Nova e altre centinaia di persone sono andati in visita al memoriale costruito in ricordo con le semplici foto di quei ragazzi, fiori e messaggi. Lì, nella foresta di Re'im, vicino al confine con Gaza, dove migliaia di giovani si erano accampati con le loro tende per partecipare al rave. Orit Baron, madre di Yuval, assassinata insieme con il fidanzato Moshe Shuva, lo definisce un 'appuntamento nero': "Sono passati due anni. E sono qui per stare con lei, perché qui è stata l'ultima volta che era viva", racconta. "Sento che in questo momento lei è qui con me".
Le cerimonie si sono aperte la mattina presto nel kibbutz di Kfar Aza. A Nir Oz, la comunità più colpita ha tenuto una cerimonia nel tardo pomeriggio. A Tel Aviv le famiglie in lutto e migliaia di altri si sono riuniti al Parco Hayarkon. La solennità ufficiale si terrà più in là, poiché oggi è stata la festività ebraica di Sukkot. La festa delle capanne. E la data del 7 ottobre non coincide nemmeno con l'anniversario dell'attacco secondo il calendario ebraico. Le foto dei memoriali sbiadiscono sotto il sole e la pioggia, colpite dal vento, dalla sabbia del deserto. Per Israele il dolore non sbiadisce, ma vuole ricominciare a vivere.