"Netanyahu ha dato l'ordine di bombardare mio figlio". È un grido di dolore, una supplica e una sfida aperta allo stesso tempo quella che la marcia di madri, padri, fratelli, sorelle, mogli degli ostaggi israeliani portano sull'uscio della residenza di Benyamin Netanyahu a Gerusalemme mentre l'assalto finale a Gaza City è in pieno svolgimento con gli obiettivi del governo chiari e ben scanditi: "Arriveremo fino alla fine".
Ma la fine, per le famiglie degli ostaggi, è la fine dell'ultimo drappello di speranza di rivedere i propri cari, alcuni (pochi) ancora in vita, gli altri già caduti nella guerra che in oltre 700 giorni ha portato fin qui. Sfida aperta al premier quindi, una sfida politica che ha visto l'ennesimo corteo urlare la rabbia in piazza, come già era accaduto nelle scorse settimane, ma che adesso più che mai punta il dito dritto contro chi non ha ascoltato il dissenso, le suppliche e le polemiche per la controversa azione di terra destinata a caratterizzare definitivamente l'eredità storica di Netanyahu.
L'Hostages and Missing Families Forum', che rappresenta la maggior parte dei parenti degli ostaggi, ha dichiarato in queste ore lo "stato di emergenza": nella notte hanno allestito un vero e proprio accampamento di tende davanti alla residenza di Netanyahu dopo la notizia dell'ingresso dei tank a Gaza City e non intendono muoversi, piuttosto invitano gli israeliani a unirsi alla protesta.
"Rimanete con noi", chiede il Forum in un appello pubblico, "È fin troppo chiaro! Non ci sarà un'altra occasione per salvare i nostri fratelli e sorelle che soffrono nei tunnel da 711 giorni. Non possiamo sacrificare gli ostaggi. Insieme salveremo Israele!". Loro vogliono un accordo, lo avrebbero voluto prima che l'Idf scatenasse l'inferno a Gaza City, perché sotto il fuoco e le fiamme verranno sacrificati anche gli ostaggi.
Bibi non li ha ascoltati, non resta che rimettere il destino dei propri cari nelle mani del suo alleato di ferro, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump: "Presidente Trump, siamo grati per il suo continuo supporto. Oggi ci rivolgiamo a lei: il nostro primo ministro Netanyahu non ascolta le nostre richieste di salvare gli ostaggi e porre fine a questa guerra, ma ascolterà lei! Lo chiamiamo al tavolo delle trattative per un accordo che riporti tutti a casa! 42 ostaggi sono stati rapiti vivi e assassinati in cattività. 42 che avrebbero potuto essere salvati! Non possiamo permettere che altri ostaggi diventino le prossime vittime", chiede Carmit Palty Katzir, figlia e sorella dei defunti Hanna, Rami ed Elad Katzir.
E spiega: "Mio fratello Elad è stato brutalmente assassinato durante la prigionia, come conseguenza diretta delle pressioni militari. Un accordo avrebbe potuto salvarlo. Avrebbe potuto essere qui con noi. Questi ostaggi sono in grave pericolo, usati come scudi umani a Gaza City. La nostra pressione militare mette a rischio anche le loro vite. Gli ostaggi vivi potrebbero essere uccisi e i deceduti potrebbero scomparire per sempre! Sono passati due anni. La pressione militare non ha salvato mio fratello e non è riuscita a riportarli tutti a casa".
Trump intanto ha ribadito il suo monito ad Hamas, intimando conseguenze se userà gli ostaggi come scudi umani. Sulle decisioni dell'alleato Bibi però non una parole: "Non è la guerra di Trump, è la guerra di Bibi e lui si assumerà tutte le responsabilità di ciò che accadrà", ha osservato un funzionario americano citato dai media in Usa.