Estero

Su Ursula von der Leyen piovono le critiche dopo l’intesa sui dazi con Donald Trump

Francia irritata, l’allarme di Friedrich Merz. Stop alle previste controtariffe

Trump
(Keystone)
28 luglio 2025
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"Voi ieri non c'eravate in quella sala, è stato il miglior accordo possibile". Ad un certo punto della sua conferenza stampa Maros Sefcovic, l'uomo del negoziato, ha provato a fotografare a modo suo il patto di Turnberry. Lo ha fatto rivolgendosi ai giornalisti europei ma, implicitamente, soprattutto ai tanti che inquadrano l'intesa sui dazi come la capitolazione dell'Europa nei confronti di Donald Trump.

L'accordo siglato da Ursula von der Leyen piace a pochi. I più hanno scelto la linea della cautela ma chi non lo ha fatto, come la Francia, ha parlato di "giorno più buio" e di "sottomissione" agli Usa. E perfino Berlino, dopo aver letto meglio i termini dell'accordo, ha lanciato l'allarme. "Si poteva fare di più?" "Si è agito correttamente evitando di mettere in campo una sola risposta nei confronti degli Usa a partire dal 2 aprile"?

Domande come queste affiorano in ogni cancelleria europea, in ogni segreteria di partito, tra i ceo delle grandi imprese e, chissà, forse anche tra qualche commissario. I dati, per ora, descrivono un patto fortemente asimmetrico che, se da un lato ha evitato il 30% minacciato da Trump, dall'altro ha incluso diverse concessioni rimaste nei giorni scorsi nei cassetti di Palazzo Berlaymont. E su alcuni settori chiave, come quello dei vini o quello dei farmaci, il bicchiere appare ai più mezzo vuoto.

‘Un giorno buio’

Emmanuel Macron, primo sostenitore di una linea muscolare con Washington, finora ha scelto il silenzio. Ha parlato, eccome, il suo primo ministro. "È un giorno buio quando un'alleanza di popoli liberi, uniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, decide di sottomettersi", è stato il tweet di François Bayrou.

Non ha destato sorprese la posizione di Viktor Orban, anti-Ue anche quando Bruxelles fa felice il suo miglior alleato, Trump. "L'intesa è peggiore di quella siglata tra Usa e Regno Unito. Trump si è mangiato Ursula a colazione", ha attaccato il premier ungherese.

Meno scontata è stata la mezza giravolta di Friedrich Merz. Pochi minuti dopo l'intesa il cancelliere tedesco celebrava il blitz in Scozia della sua connazionale. Meno di 24 ore dopo ha ammesso di "non essere soddisfatto", prevedendo "un danno considerevole all'economia" teutonica.

Donald Tusk, pilastro del Ppe come von der Leyen, ha scelto di tacere. In tanti lo hanno imitato. Pedro Sanchez, non certo il miglior amico di Trump, ha detto di "sostenere l'accordo, ma senza entusiasmo". Giorgia Meloni ha ribadito la sopportabilità del 15% per le imprese italiane ma ha rimandato il suo giudizio definitivo. Anche perché la stretta di mano di Turnberry deve essere ancora tradotta in un testo scritto e concordato, punto per punto, dalle due sponde dell'Atlantico.

Malumori da dissipare

Il testo finale dovrebbe arrivare entro il 1o agosto. Fino ad allora si ballerà. E la Casa Bianca, che ha definito l'intesa "colossale", difficilmente farà concessioni. I Rappresentanti Permanenti dei 27 torneranno a vedersi sul dossier nelle prossime ore. Il momento più delicato sarà quello del via libera alla sospensione - che si ipotizza sine die - del listone di contromisure che l'Ue avrebbe messo in campo a partire dal 7 agosto. È pressoché impossibile che il via libera non sia concesso. Ma al tavolo, in quell'occasione, tutti i malumori emergeranno con chiarezza. "Sospendiamo i controdazi dal 4 agosto ma le misure restano comunque pronte e riattivabili", hanno puntualizzato dall'esecutivo Ue.

Anche a Palazzo Berlymont, in occasione del Collegio dei commissari, si è parlato dell'intesa che, secondo von der Leyen, ha evitato il baratro e il crollo del mercato europeo. Per ora la compattezza dei commissari attorno alla loro presidente sembra reggere. Eppure, nelle settimane scorse, anche tra i funzionari europei ci si augurava una maggiore muscolarità nella trattativa. Il patto, inoltre, nella sua asimmetria non sembra rispettare i parametri del Wto. Accontentando, anche sotto questo aspetto, chi come Trump vorrebbe cestinare ogni regola del multilateralismo.

La Svizzera

A Berna si prende atto
‘Danni limitati’

Le tariffe per i Paesi che non hanno concluso accordi con gli Usa saranno tra il 15% e il 20%: lo ha detto Donald Trump al termine dell’incontro col premier britannico Keir Starmer in Scozia. Sarà questa l’aliquota che colpirà la Svizzera, che figura appunto tra i Paesi che – a dispetto dell’ottimismo iniziale – non hanno ancora sigliato un’intesa con gli Stati Uniti?

La Confederazione rischia di vedersi imporre una sovrattassa del 31% a partire dal 1° agosto, contro l’attuale 10%. Berna e Washington hanno concordato una dichiarazione d’intenti che è già stata approvata dal Consiglio federale. Manca però ancora il via libera del presidente statunitense. A Berna, i dipartimenti federali competenti hanno preso atto dell’accordo concluso tra Bruxelles e Washington, ha laconicamente indicato all’agenzia Keystone-Ats un portavoce del Dipartimento federale dell’economia.

Una cosa è certa: i dazi doganali che gli Stati Uniti imporranno sulle importazioni dall’Ue colpiranno indirettamente le imprese svizzere, avvertono lunedì le alcune delle principali associazioni economiche elvetiche. Ma l’aliquota prevista del 15% è solo un male minore, aggiungono.

Per Economiesuisse, l’accordo annunciato domenica sera “limita i danni”. Principale partner commerciale della Svizzera, l’Ue dispone ora almeno di una certa sicurezza giuridica, ha dichiarato a radio Srf Jan Atteslander, membro della direzione dell’organizzazione. Sostanzialmente è una buona notizia per la Svizzera, ma un’aliquota del 15% è un dazio molto elevato che ostacola la dinamica del commercio, ha aggiunto. La Svizzera e le sue imprese sono indirettamente colpite da questo effetto frenante, poiché fanno parte della catena di creazione del valore: “Se si aggiunge il 15%, ciò frena naturalmente la domanda americana”, ha spiegato Atteslander.

Anche le organizzazioni mantello Swissmem (industria meccanica) e Interpharma (industria farmaceutica) sottolineano gli effetti negativi indiretti sull’economia svizzera. Swissmem prevede un calo della domanda di prodotti industriali elvetici. La Svizzera ne risentirà perché fornisce numerosi prodotti di base e componenti per prodotti europei che saranno poi soggetti ai dazi doganali statunitensi al momento dell’esportazione oltre oceano, spiega Swissmen su X.

Per quanto riguarda i prodotti farmaceutici, al momento non è ancora chiaro quando entreranno in vigore i dazi doganali statunitensi. Il tasso del 15% annunciato domebnica sembra evitare per il momento lo scenario peggiore, ha dichiarato un portavoce di Interpharma a Keystone-Ats. Ma è chiaro che anche un dazio di questo tipo ha conseguenze negative significative per la Svizzera, indebolendone in modo duraturo la posizione quale sito per la ricerca e la produzione.

L’industria farmaceutica svizzera investe notevolmente negli Stati Uniti, contribuendo alla ricerca, alla produzione e all’occupazione. Secondo Interpharma, le misure protezionistiche minano questa stretta partnership.