Salvini, Le Pen e Orbán criticano l'UE e promuovono un'Europa di nazioni sovrane
L'Unione europea così com'è, ingabbiata dalla burocrazia, dalla cultura "woke" e dal fondamentalismo ecologista, ha i giorni contati. E l'ondata sovranista del voto europeo di un anno fa è solo una tappa verso la nascita di una nuova Unione più vicina ai cittadini.
Convinti che a loro "appartiene il futuro", i leader patrioti, dall'italiano Matteo Salvini all'Ungherese Viktor Orbán, dall'olandese Geert Wilders alla francese Marine Le Pen, hanno scelto una località rurale della Loira, Mormant-sur-Vernisson, per festeggiare il primo anniversario di quel successo elettorale.
Un evento ribattezzato "La Festa della Vittoria", per celebrare il voto che li ha resi il terzo gruppo al Parlamento europeo. Sul palco una lunga fila di bandiere nazionali, 12, una per ogni partito presente, a sottolineare la concezione patriottica dell'Europa come semplice unione di nazioni libere e sovrane.
Una sorta di "Pontida europea", a metà strada tra comizio politico e sagra paesana, tra stand di prodotti locali e grigliate di carne, in cui il vicepremier Salvini prima ha attaccato i referendum, quindi ha chiarito che a suo giudizio la vera minaccia per i cittadini europei "non viene dall'Est, da improbabili carri armati russi, ma dal sud, dall'invasione dei migranti clandestini".
Anche la leader del Rassemblement National (RN) ha dedicato un passaggio del suo intervento all'Ucraina, come suggestione per attaccare il fischiatissimo presidente francese Emanuel Macron: "non vogliamo un leader che giochi a fare il soldatino. Chi può credere che possa portare avanti un conflitto quando non riesce a mantenere l'ordine a 200 metri dall'Eliseo?", ha aggiunto facendo riferimento agli scontri scoppiati dopo la vittoria del PSG in Champions League.
Del resto, la difesa dei confini, degli interessi nazionali delle singole nazioni, insieme alla lotta all'Unione che "detta le sue regole senza alcuna legittimità democratica" è stata anche stavolta il leit motiv dell'incontro.
"L'Unione europea è ormai un impero liberale e ultra woke e noi non accetteremo mai un superstato nemico delle nostre nazioni, della nostra storia, delle nostre idee, delle nostre tradizioni", ha tuonato dal palco sempre l'applauditissima Le Pen, il cui partito in questa zona vince da anni con maggioranze bulgare.
Applauditissimo anche l'unico premier in carica della famiglia patriottica, l'ungherese Orbán. Anche lui si è scagliato, come Salvini, contro la politica migratoria portata avanti da Bruxelles: "l'UE - ha detto tra gli applausi dei circa 6'000 militanti presenti - punta a scambiare in modo organizzato le proprie popolazioni con i migranti, in modo da sostituire la nostra società e la nostra cultura".
Infine le conclusioni affidate a Jordan Bardella dell'RN, presidente dell'eurogruppo dei patrioti, seguite da una emozionante Marsigliese cantata a cappella. "Un anno fa, con il voto del 9 giugno 2024, i popoli europei si sono sollevati contro il superstato di Bruxelles, a difesa della loro agricoltura, della loro cultura, della loro economia. Il futuro è nostro", ha concluso.
Alla fine i soliti selfie e i soliti abbracci, in una sorta di riedizione, in salsa francese ed estiva, del mega raduno organizzato a febbraio da Santiago Abascal, il leader di VOX pure presente al raduno francese, in un mega hotel alla periferia di Madrid.
Tuttavia, almeno una differenza è balzata all'occhio: all'epoca Trump si era appena insediato e la parola d'ordine era "Make Europa Great Again". Stavolta, pur essendo passati appena quattro mesi, il clima è stato completamente diverso: il presidente americano è stato citato appena, diventando una comparsa di sfondo negli interventi dal podio.
Certamente ha influito la non eccessiva simpatia che prova il partito di Le Pen all'inquilino della Casa Bianca. Ed è probabile che anche la recente rottura tra lui e Elon Musk ha sconcertato molto. Ma potrebbe pure essere che il difficile negoziato sui dazi, anche questo un tema totalmente assente dall'incontro, giunto alle sue battute decisive, sia comunque una spina nel fianco nella narrativa dei trumpisti europei.