Israele sul banco degli imputati, gli alti funzionari palestinesi e delle Nazioni Unite che incalzano con un fuoco incrociato di accuse. All’Aja si è aperto il braccio di ferro giudiziario che vede il governo di Benjamin Netanyahu chiamato a rispondere della gestione della crisi umanitaria a Gaza davanti ai giudici della Corte internazionale di giustizia. Le udienze ruotano attorno a una data: il 2 marzo. Quando lo Stato ebraico ha chiuso i valichi intorno alla Striscia, lasciando 2,4 milioni di palestinesi con scorte di cibo ridotte al lumicino. “La fame è qui”, ha attaccato il capo della rappresentanza palestinese nei Paesi Bassi, Ammar Hijazi, denunciando l’uso degli aiuti “come arma di guerra”. La risposta israeliana non si è fatta attendere: il ministro degli Esteri, Gideon Sa’ar, da Gerusalemme ha liquidato il processo come “un circo” accusando a sua volta l’Onu e l’Unrwa di aver “strumentalizzato il diritto internazionale per privare Israele del suo diritto fondamentale di difendersi”. “In quanto potenza occupante, [Israele] ha l’obbligo inderogabile di consentire e facilitare la consegna degli aiuti”, ha scandito in aula la consulente legale dell’Onu, Elinor Hammarskjöld. ANSA/RED