laR+ l’analisi

Le mosse dell’Ue per spegnere l’avanzata della destra

Le elezioni europee hanno visto crescere gli estremismi, ma gli equilibri interni al Parlamento potrebbero reggere virando addirittura a sinistra

In sintesi:
  • E se Parigi piange (e corre ai ripari), Berlino non ride
  • Vincono le donne: Le Pen, ma soprattutto Meloni, che ora ha il palcoscenico per sé
  • I guai di Salvini e del Pd, che esultano senza fare bene i conti
L’Europa prova a guardare avanti
(Keystone)
10 giugno 2024
|

Come chi ha passato una notte agitata, l’Europa si risveglia sul bordo del letto – col rischio di cascare, rigorosamente dal lato destro – poi si stiracchia e si rimette al centro. Tanto rumore per nulla? Si capirà solo una volta formate le alleanze tra gruppi del nuovo Europarlamento, ma per ora sembra che lo sconquasso delle ultradestre abbia portato più conseguenze dentro i vari confini nazionali che nell’Unione. A esultare è sempre Ursula von der Leyen, simbolo dei Popolari e dell’insoddisfazione altrui per quest’Europa politica che – molto probabilmente – resterà in sella aumentando il numero degli scontenti dell’Europa com’è (e che testardamente potrebbe non cambiare), col rischio che alle prossime elezioni si caschi tutti dal letto, facendosi molto, molto male.

Ora che succede?

Il Consiglio europeo, ovvero il consesso dei leader dei 27 Paesi Ue, si riunirà informalmente già il 17 giugno e poi formalmente il 27-28 giugno, per decidere in nome del prossimo presidente della Commissione europea: servirà l’assenso di almeno il 55% dei Paesi membri (15 su 27) in rappresentanza di almeno il 65% dei cittadini dell’Unione. Insomma, servono nazioni di peso: Germania, Francia, Italia.

Il Ppe di Von Der Leyen ha un netto vantaggio: con 12 capi di Stato e di governo che provengono dalla sua area. Cinque li hanno i socialisti e 5 i liberali di Renew Europe. Socialisti e liberali insieme arrivano quindi a 10, ma rappresentano il 55% degli abitanti contro il 27% del Ppe. Il sistema di pesi e contrappesi non è facile, se si considera che un peso massimo dell’Ue, l’Italia, ha come premier una conservatrice di destra di un altro gruppo ancora, Ecr. Ci sarà da divertirsi, da scannarsi. O entrambe le cose.


Keystone
Operazioni di voto inusuali in Germania

Una volta arrivata la nomina si passerà al voto del Parlamento, dove la maggioranza è ora di 361 su 720. Ma considerando che la percentuale di infedeltà al voto ruota intorno al 15-20%, chi vorrà guidare l’Ue dovrà portare numeri più alti, intorno. o meglio sopra ai 400 parlamentari: anche per questo Von der Leyen dà la precedenza ai socialisti ma non sbatte la porta in faccia a nessuno: anzi, ha già strizzato l’occhiolino verso destra, ovvero Ecr-Meloni (non verso l’ultradestra di Id, vale a dire Le Pen, Salvini e gli austriaci di Fpö).

Qualcuno ha già detto che se si vira troppo a destra potrebbe mollare i Popolari. A quel punto si potrebbe allargare la coalizione a sinistra, inglobando i Verdi. Certo sarebbe un arroccamento della politica rispetto al voto popolare.

Francia

Il successo, dalle dimensioni impreviste alla vigilia, da parte del Rassemblement National di Marine Le Pen e del delfino Jordan Bardella, ha costretto il presidente francese Emmanuel Macron a prendere una decisione immediata, forse anche un po’ avventata, lo dirà il tempo: i tre anni - per l’esattezza – che ci separano dalle prossime elezioni presidenziali.


Keystone
Marine Le Pen se la ride

La mossa di Macron – che in pratica (ammantando il discorso con un po’ di eleganza formale) ha detto ai francesi di non aver capito un tubo di quel che sta accadendo, in patria e fuori dai confini – è stata quella delle elezioni. Subito: il 30 giugno, praticamente domani. Un modo per non lasciare ulteriore margine di manovra in campagna elettorale a chi vuole affossarlo, ma soprattutto una trappola (e il dubbio è se scatterà o meno) per Le Pen e Bardella, che – stando così le cose – si ritroverebbero a governare in acque agitate per i prossimi tre anni. E il vento in poppa di chi sta all’opposizione ci mette poco a girare di traverso quando si passa a timonare un governo. Macron lo sa bene, e anche Le Pen, che – al di là dei proclami politici – forse avrebbe preferito continuare a fischiare dal loggione anziché salire sul palco ora. Insomma, Macron mette in una posizione scomoda la destra e prova a salvare il salvabile, negando almeno la poltrona presidenziale all’ennesimo assalto di un Le Pen (Jean-Marie prima, Marine da qualche elezione a questa parte). “On verra”, come si dice oltreconfine. Intanto la sinistra francese inscena il suo ennesimo harakiri dividendosi come un atomo in particelle sempre più piccole: tenere il punto pare più importante che incidere in politica, e le sconfitte degli ultimi vent’anni non sembrano scalfire Mélenchon e i suoi non-alleati.

Italia

L’Italia continua a vivere una sua vita parallela, dove quasi tutti rivendicano una vittoria: alcuni a ragione, a partire da Forza Italia, che un doppio miracolo l’ha fatto davvero sfiorando il 10 per cento e sopravvivendo al suo fondatore Berlusconi, che – con ancora il nome nel simbolo – si trovava virtualmente candidato anche da morto. La politica che incontra il cabaret. Di peggio, se possibile, ha fatto Matteo Salvini, che è riuscito a fingere di esultare per un misero 9%, visto che – parole sue – “anche solo conquistare uno ‘zero virgola’ rispetto alle Politiche del 2022 sarebbe un successo”. Si era fermato all’8,1%, dimenticando lo zenit del salvinismo (34,2%) alle Europee del 2019), ora crepuscolare come la sua faccia da cane bastonato. Certo, ha portato a Bruxelles il generale Vannacci, il militare brontolone e cantore dei “bei vecchi tempi andati’ più amato da un certo pezzo d’Italia. Il Pd invece si presenta al post-voto con un entusiasmo che il buon risultato in termini percentuali in realtà non giustifica. Certo, era caduto talmente in basso che un secondo posto dietro a Fratelli d’Italia e il 24,1% non possono essere presi come una sconfitta, ma – conti alla mano – in un Paese la cui affluenza non è arrivata neanche al 50%, il Pd ha perso rispetto alle Europee del 2019 circa 400mila elettori. E festeggiano. Mah.

Certo, i 5 Stelle, Renzi e Calenda stanno anche peggio. Mentre la candidatura di Ilaria Salis ha portato in auge la sinistra-sinistra di Avs (e ora sarà bagarre tra Italia e Ungheria per la sua scarcerazione definitiva, le regole stanno con l’Italia, ma Orbán, si sa, spesso non sta alle regole). La vera vincitrice è una sola però, Giorgia Meloni: 2,4 milioni di preferenze personali, e un 28,8% per Fdi, il partito di governo che non solo tiene, ma dà l’idea di poter restare il più votato ancora a lungo. Per Meloni, inoltre, con lo schianto dei due leader europei più in vista, Macron e Scholz, si apre un’autostrada per un ruolo di primo piano nell’Ue.


Keystone
Tempi duri per Olaf Scholz e il suo Spd

Germania

I socialisti tedeschi, sovrastati dalla Cdu-Csu e superati perfino dai neofascisti conclamati dell’AfD, non hanno sparigliato le carte come Macron (che qualche asso nella manica può ancor averlo), ma tirano dritti provando a giocare il bonus invisibilità: meno rumore fanno, meglio è, in questo momento, nella speranza di tenere in piedi una legislatura sempre più complicata. Ma Scholz, a differenza del francese, se fa saltare il banco resta senza poltrona. Si navigherà a vista fino all’anno prossimo (a ottobre ci saranno le elezioni politiche) o fino a consunzione di un progetto che non è mai decollato davvero. Dopo l’era Merkel non era facile, ma Scholz ha reso tutto ancor più difficile.

Russia

A Mosca non si votava, ma il Cremlino era uno degli spettatori più interessati. Ovviamente i portavoce ufficiali e ufficiosi di Putin sono subito corsi a dire che ha perso chi ha sostenuto l’Ucraina. E non è così vero (non dovrebbe stupire vista la conclamata disinformatia di regime) certo, Macron e Scholz pagano un conto salato, ma non (solo) per quello. E poi la trionfatrice Meloni è un’atlantista convinta, e in Paesi più vicini geograficamente come Polonia e anche Ungheria arrivano brutte notizie per Putin.

Ungheria e Austria

Orbán ha vinto e non poteva essere altrimenti con l’aria che tira a Budapest, tuttavia non ha vinto quanto si pensava: il che è un notizia. Orban e il suo Fidesz hanno preso il 44,6%: tanto. Ma nel 2019 era arrivato al 52,56%. Otto punti in meno non sono pochi. A preoccuparlo è Tisza, il partito guidato da Peter Magyar, uno che prima era con lui, quindi non proprio il paladino della libertà che si vorrebbe per l’Ungheria, ma ci si accontenta. Il suo cognome poi significa magiaro, e quindi ungherese. Sa un po’ di predestinato. Ma è ancora presto per pensare che sia l’inizio della fine per Orbán.


Keystone
Il segretario del Fpö Harald Vilimsky

Mentre nella vicina Austria primo partito è l’Fpö, quello che fu del contestatissimo Jörg Haider e ora è passato sulle spalle di Herbert Kickl e Harald Vilimsky, più presentabili nella forma, non nella sostanza: si parla di ultradestra dura e pura. Un guaio per l’Europa. Anche se, l’Austria, con pochi seggi a disposizione non sembra poter spostare gli equilibri più di tanto (l’Fpö passerà da tre a sei), in un Parlamento che potrebbe faticare a trovare una soluzione, chiunque può ambire a pesare ben più di quanto non dicano i numeri.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔