Estero

A sette mesi dal voto, lo strappo di Biden con Netanyahu

Il presidente Usa ha esaurito la pazienza con Benjamin Netanyahu, dando luce verde, con l'astensione, alla prima risoluzione per una tregua a Gaza

In sintesi:
  • Cambio di rotta, dopo i precedenti veti, su pressione dell'ala progressista del partito
  • Usate anche le prime sanzioni americane contro i coloni ebrei accusati di ‘violenza estremista’
Joe Biden

A sette mesi dalle elezioni presidenziali, il presidente degli Stati Uniti ha consumato lo strappo con il premier israeliano, una delle rotture più forti nella storia tra i due Paesi. Sullo sfondo il voto di protesta della cruciale comunità araba, che potrebbe fargli perdere la Casa Bianca in qualche swing state. Mentre il suo rivale Donald Trump cerca di far breccia sugli elettori ebrei, sostenendo in una intervista a Israel ha-Yom che “solo un pazzo o un idiota non avrebbe risposto come ha fatto Israele" all'attacco del 7 ottobre, e che Hamas ha colpito “perché non rispetta Biden”.

È un ricordo l’abbraccio dopo l’attacco di Hamas

Ma il cambio di rotta arriva anche sotto la crescente pressione dell’ala progressista del partito, di una fetta della sua amministrazione e della comunità internazionale, di fronte alla quale Washington rischiava di rimanere nuovamente isolata, dopo i tre precedenti veti al palazzo di vetro. Lo strappo arriva comunque da lontano e si radica nei rapporti divergenti e spesso conflittuali con ‘Bibi’: dalla prosecuzione degli insediamenti dei coloni israeliani nei territori occupati al rifiuto della soluzione dei due stati. L’attacco di Hamas del 7 ottobre a Israele aveva segnato un momento di riavvicinamento, con la storica visita di Biden e l’abbraccio tra i due dopo una strage paragonata agli orrori nazisti. In breve tempo però la ‘sproporzionata’ risposta israeliana, con il pesantissimo bilancio delle vittime civili palestinesi e il disastro umanitario, ha progressivamente allontanato il leader dem da Netanyahu, facendo calare il gelo.

Visite diplomatiche naufragate

Biden ha provato a usare (quasi) tutti i mezzi per indurre il premier israeliano a una offensiva che non colpisse i civili e a un piano per il dopo Hamas. Ma finora tutti i suoi appelli pubblici e i suoi moniti privati sono caduti nel vuoto. E i numerosi tour diplomatici in Medio Oriente del suo segretario di stato Antony Blinken sono stati frustranti e umilianti viaggi a vuoto, mentre naufragavano anche i tentativi di mediazione con Qatar ed Egitto per un cessate il fuoco legato alla liberazione degli ostaggi e all’aumento degli aiuti umanitari. Nel frattempo, Biden ha usato dopo tanti anni anche le prime sanzioni americane contro i coloni ebrei accusati di “violenza estremista”. Il presidente Usa ha però escluso finora di condizionare la fornitura di armi all’alleato, come gli chiedono vari deputati e senatori dem denunciando la violazione del Foreign Assistance Act del 1961, secondo cui gli Stati Uniti non possono fornire armi a chi “proibisce o limita il trasporto o la consegna di aiuti umanitari statunitensi”.

È una leva che forse avrebbe potuto usare negli incontri con la delegazione israeliana con cui gli Usa dovevano discutere le “alternative” alla temuta offensiva su Rafah. Ma Netanyahu ha cancellato la visita dopo il mancato veto americano all'Onu. “La nostra linea non cambia”, hanno cercato di rassicurare gli Usa, che però avevano già lanciato un avvertimento presentando nei giorni scorsi una risoluzione per una tregua a Gaza, poi bocciata da Russia e Cina. L’astensione di oggi era l’ultima possibilità di fermare un assalto a Rafah che ‘Bibi’ è deciso a lanciare. Con o senza gli Usa.

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