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Costringe la figlia a una dieta ferrea, mamma condannata

Il tribunale di Como ha inflitto un anno e 4 mesi di carcere alla donna. La ragazza minorenne non poteva superare 47 chili

La bilancia non doveva segnare più di 47 chili
(DepositPhotos)
24 gennaio 2024
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Secondo l'accusa, la mamma si era trasformata in una sorta di arpia che negava il cibo alla figlia minorenne "brutta" e "grassa" perché non aumentasse di peso. Per la difesa, invece, la donna era sì responsabile, ma di troppo amore nei confronti della ragazza. Alla fine, il Tribunale di Como ha sposato la prima ipotesi e ha condannato una donna di 53 anni a un anno e quattro mesi di reclusione, con l'accusa di maltrattamenti in famiglia. La procura ne aveva chiesti 24, di mesi, ma il giudice monocratico è stato più clemente.

Si è chiusa dunque oggi una vicenda che aveva suscitato clamore nel 2019, quando la storia era venuta alla luce. Era stata una zia della ragazza, medico, a notare il disagio persistente nella minorenne e a raccoglierne le confidenze. Senza parlarne con nessuno, era andata diritta in questura. Era così emersa la storia, per certi versi incredibile: la mamma da tempo costringeva la figlia (che all'epoca aveva 16 anni) a un regime alimentare serratissimo per non farla crescere di peso, in quanto la riteneva grassa e sgradevole alla vista.

Vessata e affamata

Poteva cibarsi solo di passati di verdura, carote o vegetali. La soglia massima che la ragazza poteva raggiungere, la madre l'aveva fissata a 47 chili. La ragazza, secondo quanto raccontò lei stessa nell'incidente probatorio, non solo non poteva mangiare, ma era anche vessata dalla madre, che non mancava mai di insultarla con epiteti anche pesanti e di sottolineare ripetutamente quanto fosse "brutta" e "grassa". Un "trattamento" al quale, però, non ha mai sottoposto l'altro figlio maschio.

Allontanamento

Dopo le dichiarazioni in incidente probatorio, la donna era stata allontanata da casa con una misura cautelare. Misura poi revocata alcuni mesi più tardi, grazie anche alla mediazione del marito, che è sempre riuscito a tenere unita la famiglia, stando accanto alla moglie e alla figlia. Secondo la legale della donna, la situazione dopo cinque anni è mutata per cui - ha sostenuto - non avrebbe avuto senso condannarla. L'avvocato ne aveva così chiesto l'assoluzione o, in subordine la riqualificazione del reato come abuso dei mezzi di correzione. "Non è giusto condannare una madre per il troppo amore verso i figli", ha concluso l'avvocato, che dopo la lettura del dispositivo della sentenza ha annunciato ricorso in appello.

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