l'analisi

L’Iowa incorona Trump, Re Sole d’America

Vittoria schiacciante nelle primarie che lascia poche speranze a Ron DeSantis e blocca sul nascere il tentativo di smarcarsi di Nikki Haley, terza

In sintesi:
  • Ora risalire per gli avversari si fa quasi impossibile
  • “Gli Stati Uniti sono io”, sembra dire il tycoon, già pronto a governare come un sovrano
  • Il confronto con il 2016 è ancora più favorevole per il tycoon, quando perse con Ted Cruz
Il vincitore, Donald Trump
(Keystone)
16 gennaio 2024
|

I caucus in Iowa incoronano anche oltre le aspettative Donald Trump, ormai una specie di Re Sole dell’area conservatrice. “L’État, c’est moi”, diceva Luigi XIV, che almeno non aveva questo fastidioso impiccio di doversi far votare dai suoi e poi da tutti quanti. “Lo Stato sono io” è anche il motto nemmeno troppo sotterraneo dell’ex presidente, che una volta in sella ha già espresso il desiderio di fare il dittatore per un giorno con purghe nell’amministrazione, l’instaurazione di nuove leggi senza bisogno di ulteriori passaggi democratici e un potere illimitato, per ricominciare con regole nuove, le sue.

Agli elettori conservatori – evidentemente – piace così, visto che il 65% dei repubblicani dell’Iowa ha ammesso che voterebbe per Trump anche se dovesse risultare colpevole nei processi in corso. Una fiducia cieca che mostra le crepe di un Paese, di un sistema e di un partito ormai cannibalizzato dal tycoon, corpo estraneo che ha finito con l’inghiottire tutto.

Il primo round delle primarie repubblicane ha parlato chiaro, Trump ha preso il 51% dei voti, lasciando i due rivali più accreditati a una trentina di punti di distanza, a tal punto da rendere più interessante la corsa al secondo posto. L’ha spuntata il governatore della Florida Ron DeSantis su Nikki Haley, frenando gli entusiasmi di chi vedeva l’ex rappresentante alle Nazioni Unite come una rivale credibile dell’uomo che all’Onu l’aveva messa, nel 2017, dopo i sei anni da governatrice della Carolina del Sud.


Keystone
Nikki Haley a testa bassa

Tornando ai numeri, se sommassimo i voti a Ron De Santis e Nikky Haley, ne mancherebbero comunque altri 12 mila (su un totale di votanti poco superiore ai 110mila). È tutto qui. Insomma, per non vedere Trump rivaleggiare (ancora) con Biden dovrebbe succedere un terremoto sociopolitico perfino superiore a quello che nel 2008 portò Obama a sbaragliare Hillary Clinton e poi il repubblicano John McCain.

Ci si può affidare alla cabala, ma non siamo al Lotto: infatti, da qualche tempo, il vincitore in Iowa non ha poi mai portato a casa la nomination. Ma erano contesti diversi; ci si può affidare ai giudici, e qui la partita si fa molto più controversa, anche se i tempi sono davvero stretti e una condanna a nomination ottenuta rischierebbe di fare ancor più danni; ci si può affidare ad Haley, stella già cadente del firmamento repubblicano, cometa che rischia di non passare più, a differenza della sua quasi omonima. Haley sperava almeno in un secondo posto per poi cercare la spinta definitiva con il voto nel suo Stato, la Carolina del Sud (il 24 febbraio), passando per le primarie di martedì prossimo in New Hampshire, in cui si è spesa molto e pare essere molto apprezzata, ma non abbastanza per Trump, che nei sondaggi porta a casa il 43,% contro il 30,6% di Haley.

DeSantis sarebbe fermo al 5,4%, condannato al ruolo di comprimario, di satellite costretto a girare attorno a pezzi più grossi in una galassia politica troppo grande per lui: c’è già chi parla di un suo ritiro ai primi di febbraio se dovessero andar male le campagne in New Hampshire e Nevada, anche se la voglia di confrontarsi almeno con il SuperTuesday (il 5 marzo, giorno in cui le primarie si tengono in contemporanea in 15 Stati, più le Samoa americane) e con il voto nella sua Florida (19 marzo) c’è. Qualche buon risultato potrebbe dargli un po’ di spazio negoziale con Trump, ma allo stesso tempo uscire troppo tardi potrebbe essere un autogol.


Keystone
Ron DeSantis stringe mani

Qualcuno si è già fatto da parte dopo la prima sberla: è il caso di Vivek Ramaswamy, il cui 7,7% lo ha portato a più miti consigli, uscire dall’arena e dare fin da subito l’appoggio a Trump. Il Re Sole ha mostrato di non dimenticare chi l’ha aiutato a spianargli la strada verso la Casa Bianca (anche se poi con qualcuno ha rotto lungo la strada). Ramaswamy, 38 anni, figlio di due immigrati indiani, è considerato un attivista anti-woke: in pratica tutte le preoccupazioni sociali, razziali e ambientali del cosiddetto mondo “woke” sarebbero solo un ostacolo alla crescita economica del Paese. Le sue posizioni estreme, spesso coincidenti con quelle di Trump sono state un ostacolo alla sua affermazione politica, ma se la sua fosse una manovra per entrare nelle grazie del tycoon, tra non molto sapremo se ha funzionato o meno.

Altri due abbandoni prematuri, quelli di Chris Christie (addirittura prima del voto in Iowa) e Asa Hutchinson, più moderati potrebbero portare voti ad Haley. Ma non è detto, intanto sarebbero pochi, e poi che Haley sia davvero moderata è tutto da vedere. Lo è in politica estera, ma sul fronte interno, anche qui, le differenze con Trump sono minime, con l’ex presidente meno spericolato (soprattutto in economia). Insomma, se hai l’originale (e bisogna vedere se i giudici permetteranno di averlo), perché affidarsi a una sua copia o perfino a chi, per alcuni, passa a una sua emanazione? Haley è diventata nota al grande pubblico con la nomina all’Onu e nonostante oggi giochi a fare la dura nei confronti di Trump (e di Biden), dichiarando che d’ora in poi farà dibattiti solo con i veri rivali per la Casa Bianca e non con i candidati minori, molti prevedono già un ticket che la porti a Washington come vice di Trump (che continua a ripetere che il suo secondo è già scelto, senza però farne il nome).


Keystone
Vivek Ramaswamy è già fuori dai giochi

Per capire però davvero quanto le primarie in Iowa siano state favorevoli a Trump bisogna tornare al voto di otto anni fa, quando il futuro presidente arrivò secondo, con il 24,3% delle preferenze, schiacciato tra Ted Cruz, il vincitore con il 27,6% e Marco Rubio (23,1%). Le preferenze per Trump furono quasi 45mila, ma con circa 70mila votanti in più tra i delegati. Insomma, Trump, in termini percentuali, ha quasi raddoppiato i consensi. E di Rubio e Cruz, nel frattempo, nessuno più si ricorda. Ci ricorderemo di Haley e DeSantis?

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE