medio oriente

L’ombra dell’Isis sul doppio attentato in Iran

Ci sarebbe una rivendicazione dello Stato islamico. Ma Teheran accusa ancora Israele e gli Usa: ‘Dietro ci sono loro’

I sopravvissuti alla doppia esplosione
(Keystone)
4 gennaio 2024
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Né gli Usa né Israele: sarebbe l'Isis, 24 ore dopo il fatto, ad addossarsi la responsabilità per il doppio attentato avvenuto ieri tra la folla vicino alla tomba di Qassem Soleimani, nella città iraniana di Kerman, che secondo un bilancio rivisto al ribasso ha provocato 84 morti e 284 feriti. Comunque la peggiore strage nella storia della Repubblica islamica.

L’annuncio su Telegram

A provocare le esplosioni, ha affermato il sedicente Stato islamico sui suoi canali Telegram, sono stati due suoi kamikaze. Ma Teheran continua comunque a sostenere che dietro ai terroristi si nascondano Wahington e lo Stato ebraico. Le immagini di manifestazioni in varie città iraniane, con i partecipanti che intonano i consueti slogan di ‘morte a Israele’ e ‘morte all'America’, sono state trasmesse dalla televisione di Stato. Mentre per domani, giorno dei funerali delle vittime, le autorità hanno invitato la popolazione a scendere nuovamente in piazza per esprimere la loro condanna contro i governi israeliano e americano, in questo momento di estrema tensione per il conflitto mediorientale, in cui la Repubblica islamica sostiene Hamas e il movimento sciita libanese di Hezbollah.


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I soccorsi dopo l’attacco

È vero che altri attentati simili sono stati riconosciuti negli anni passati come opera dei fondamentalisti sunniti dell'Isis nel cuore dello Stato che per eccellenza rappresenta il movimento sciita mondiale. Solo nel 2022, per esempio, 15 persone sono state uccise in un attacco a un santuario a Shiraz. Mentre al 2017 risale l'azione più clamorosa, con un doppio assalto al Parlamento di Teheran e al mausoleo dell'ayatollah Ruhollah Khomeini, fondatore della Repubblica islamica.

Soleimani, nemico di molti

È vero anche che Soleimani era considerato un nemico mortale non solo da Israele e dagli Usa - che lo hanno ucciso - ma anche dall'Isis, per il ruolo che svolto in Iraq e Siria nel combattere l'autoproclamato Califfato. Ma tradizionalmente le autorità di Teheran considerano i terroristi di qualsiasi natura - fondamentalisti sunniti o separatisti di etnie minoritarie - come strumenti di cui si servono israeliani e americani per indebolire la Repubblica islamica. Gli attacchi di Kerman, ha affermato Esmail Qani, il successore di Soleimani alla guida della Forza Qods dei Pasdaran, sono stati compiuti da "agenti del regime sionista e degli Stati Uniti". Fin da ieri Washington aveva negato qualsiasi coinvolgimento, dicendosi sicura che nemmeno Israele avesse una qualche responsabilità, e richiamando invece le similitudini tra il doppio attentato di Kerman e gli attacchi rivendicati negli anni passati dall'Isis. Israele, a cui sono stati addebitate diverse uccisioni mirate di scienziati nucleari e comandanti militari in Iran e all'estero, non ha commentato: "Siamo concentrati sui combattimenti con Hamas", ha commentato il portavoce dell'esercito, Daniell Hagari.


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Bimba libanese con la foto di Soleimani

Due kamikaze

Secondo gli analisti, del resto, l'impiego di due attentatori suicidi, confermato dall'agenzia di Stato iraniana Irna, rispecchia il modo di operare dello Stato islamico. Una "fonte bene informata" citata dall'agenzia ha detto che, non potendo superare gli stretti controlli di sicurezza per avvicinarsi alla tomba di Soleimani, i due kamikaze si sono fatti saltare in aria uno a distanza di 1,5 chilometri e l'altro a 2,7 chilometri dalla moschea di Saheb al-Zaman, dove il generale dei Pasdaran è sepolto.

Dopo la dura condanna espressa ieri dal segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, è arrivata anche quella del Consiglio di Sicurezza, che ha parlato di "vile attacco terrorista" e ha inviato le condoglianze alle famiglie delle vittime e al governo iraniano. Mentre il segretario di Stato americano Antony Blinken e la ministra degli Esteri francese Catherine Colonna hanno concordato in una conversazione telefonica sulla necessità di "evitare una escalation in Libano e in Iran" come risultato del conflitto in atto nella Striscia di Gaza, secondo quanto reso noto dal portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller.

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