Estero

’Ndrangheta fra i binari, sequestrati oltre 10 milioni di euro

Nuovo capitolo dell'indagine che a febbraio 2022 aveva portato all’arresto di 15 persone, tutte vicine allo stesso clan

Un’indagine con diverse diramazioni
(Ti-Press)
6 novembre 2023
|

Si stringe il cerchio sugli appalti in odor di ’ndrangheta nei lavori di armamento a manutenzione ferroviaria nel nord Italia. Dopo i 15 arresti scattati in Italia nel febbraio 2022 e il sequestro di 6,5 milioni di euro per reati tributari, dopo le prime 14 condanne fino a sette anni di carcere inflitte a Milano lo scorso gennaio con rito abbreviato (gli imputati hanno ammesso di aver partecipato a un’associazione per delinquere avente solidi legami con la cosca delle famiglie ’ndranghetiste Arena e Nicoscia di Isola Capo Rizzuto in Calabria), dopo la richiesta di rinvio a giudizio di 40 persone la scorsa estate, ora la Guardia di finanza di Milano ha proceduto con un ulteriore sequestro preventivo di oltre dieci milioni di euro nei confronti di undici società. Lo ha fatto il 27 settembre – ma se ne ha notizia solo adesso – dando seguito all’ordinanza emessa dalla pm della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Bruna Albertini, titolare delle indagini. I reati prospettati: associazione per delinquere, illeciti fiscali, falsa fatturazione, bancarotta fraudolenta, tutti aggravati dalla finalità mafiosa.

Tra le società visitate dalle Fiamme gialle – riferiscono i media italiani – figurano anche la Generale Costruzioni Ferroviarie (Gcf) e la Gefer, entrambe del colosso romano Rossi. Gruppo attivo in mezza Europa e anche in Svizzera con succursale a Bellinzona. Filiale tra il 2017 e il 2020 coinvolta nella realizzazione del tunnel di base del Monte Ceneri aggiudicandosi anche un appalto Ffs di 20 milioni di franchi per la manutenzione della rete ferroviaria elvetica fra il 2016 e il 2025. Indagati a Milano, ricordiamo, sono i fratelli Edoardo e Alessandro Rossi che respingono gli addebiti e sul cui rinvio a giudizio deve ancora pronunciarsi il Giudice delle udienze preliminari. Un’inchiesta contro ignoti per presunta violazione della Legge sul lavoro e possibili altri reati è anche in corso sin dal 2019 in Ticino a seguito della denuncia presentata da alcuni operai impiegati da Gcf, i quali affermano di essere stati impiegati nel cantiere del Ceneri in condizioni indegne.

Secondo la pm Albertini un gruppo di persone vicine alla cosca Nicoscia-Arena, collegata nel nord Italia alle famiglie calabresi Aloisio e Giardino, tramite “contratti di distacco di manodopera e contratti di nolo a freddo dei mezzi” avrebbe effettuato per anni attività di manutenzione della rete ferroviaria italiana usando “una fitta rete di aziende pseudo-metalmeccaniche a loro riconducibili con sede tra Varese, Verona e Crotone, molte delle quali intestate a prestanome, di fatto prive di una struttura aziendale”. Società che avevano come “unico scopo la somministrazione di manodopera alle undici imprese assegnatarie delle ingenti commesse da Reti Ferroviarie Italiane Spa”, parte offesa nell'inchiesta.

Nelle motivazioni della sentenza per i primi 14 condannati, il giudice delle udienze preliminari ha dal canto suo dimostrato “la prassi di offrire occasioni di lavoro” a persone di Isola Capo Rizzuto al fine di “consentire l’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore della costruzione e manutenzione delle reti ferroviarie”. Emerge anche “il controllo che i Giardino e gli Aloisio sono in grado di esercitare sulla manodopera”. E anche il fatto che Alfonso Giardino, uno dei 40 indagati, sarebbe “pronto a fare di tutto, anche false dichiarazioni, pur di aiutare i Rossi consapevole che obiettivo dell’attività investigativa è il gruppo Rossi”. Il quale respingendo le accuse ha sempre dichiarato di voler prestare la massima collaborazione agli inquirenti e di aver rotto ogni legame con persone sospettate anche solo lontanamente di avere legami con la ’ndrangheta.

Avvocati e commercialisti comaschi sensibilizzati

La lotta alle infiltrazioni mafiose nel mondo economico e imprenditoriale rimane nel nord Italia una delle priorità per le autorità inquirenti. Avvocati e commercialisti comaschi iscritti ai rispettivi Ordini professionali della Provincia di Como hanno infatti ricevuto un importante e corposo documento firmato dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci, capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano, da Paola Parlati, presidente del Tribunale di Como, e da Massimo Astori, procuratore della Procura lariana. È il protocollo che nei giorni scorsi i tre magistrati hanno sottoscritto per coordinare l'azione di contrasto al fenomeno: un virus sempre più presente, come confermato dalle inchieste della Dda milanese e documentato durante un recente convegno tenutosi in riva al Lario e dal quale è scaturito il documento inviato ad avvocati e commercialisti. Parola d’ordine, prevenire il crimine. Stando al protocollo le attività maggiormente a rischio mafia sono quelle dei trasporti (terra, bitume e calcestruzzo), noleggio macchinari edili, controllo dei cantieri, servizi cimiteriali e funerari, raccolta e smaltimento rifiuti e in generale i servizi ambientali. Nonché ristorazione, gestione mense e catering. E ancora: facchinaggio e fornitura di manodopera non specializzata, settori in cui forte è il caporalato. Attenzione anche al settore dell'erogazione di carburanti e idrocarburi (benzina di contrabbando) e alle tabaccherie. Ma come capire che qualcosa non va? I campanelli d’allarme sono abbastanza chiari: la presenza di amministratori e soci troppo giovani o troppo anziani, in quanto considerati ‘teste di legno’. Amministratori coinvolti in dissesti finanziari o residenti in località molto distanti da Como. Attenzione anche a stranieri da poco arrivati in Italia. Un occhio di riguardo poi ad amministratori subentrati a ridosso della crisi aziendale. Altri fattori considerati critici: il numero dei dipendenti che possono essere spropositati rispetto alle esigenze dell'attività. Ma forse il monito più importante è quello di stare attenti alla presenza di fiduciarie e trust, soprattutto se sono straniere, con residenze nei paradisi fiscali; e a dove arrivano soldi sporchi, spesso provenienti dallo spaccio di droga.

Leggi anche:
Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔