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Gruppo Rossi (Monte Ceneri) e ’Ndrangheta sul treno per Milano

Lunedì 23 il Giudice delle udienze preliminari deciderà se rinviare a giudizio 40 persone fra cui i titolari del colosso italiano attivo pure a Bellinzona

In sintesi:
  • Dopo le prime 14 condanne, lunedì 23 ottobre la seconda tappa in tribunale a Milano
  • Tra la quarantina di indagati anche i titolari del colosso italiano attivo anche a Bellinzona
Luglio 2017, operai della Generale Costruzioni Ferroviarie impiegati nella posa binari dentro il tunnel del Monte Ceneri
(Ti-Press)
21 ottobre 2023
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Dopo le prime 14 condanne pronunciate lo scorso gennaio con rito abbreviato, seconda tappa in tribunale a Milano, lunedì 23 ottobre, per l’inchiesta antimafia su presunte infiltrazioni della cosca ’ndranghetista calabrese di Isola Capo Rizzuto nei lavori di manutenzione e ammodernamento della rete ferroviaria nel Nord Italia. Indagine lombarda scattata nel febbraio 2022 e che suscita interesse anche in Ticino figurando nella quarantina di persone indagate, per le quali è stato chiesto il rinvio a giudizio, anche i fratelli Edoardo e Alessandro Rossi titolari della Generale Costruzioni Ferroviarie, colosso con sede a Roma e succursale a Bellinzona (a Registro di commercio figura Edoardo) che fattura annualmente 620 milioni di euro. Gcf incaricata, fra il 2017 e il 2020, di posare l’armamento ferroviario nel tunnel di base del Monte Ceneri operando nel consorzio ‘Arge Mons Ceneris’. Lavori, questi ultimi, sui quali è pure in corso un’inchiesta penale aperta nella primavera 2019 dal procuratore pubblico ticinese Andrea Gianini per violazione della Legge sul lavoro e delle norme di sicurezza, più eventuali altri reati. Indagine avviata, ricordiamo, a seguito delle denunce presentate da due operai, cui se ne sono poi aggiunti altri, per un totale di dodici, tutti assistiti dal sindacato Unia; inchiesta contro ignoti chiamata a verificare il comportamento di capi cantieri, quadri e dirigenti delle ditte appaltatrici. Sospetti che Gcf ha sempre respinto assicurando di aver agito nella piena legalità. Idem per le accuse mosse in Italia ai fratelli Rossi.

Le prime 14 condanne

Le fattispecie sono simili ma le due indagini non hanno punti di contatto. Lunedì prossimo a Milano la giudice delle udienze preliminari (Gup) Daniela Cardamone si chinerà sul corposo incarto prodotto dalla pm della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Bruna Albertini, che ha chiesto il rinvio a giudizio. Al Gup il compito di stabilire se e quanti dei 40 indagati siano processabili. Le accuse mosse a vario titolo sono: associazione per delinquere, illeciti fiscali, falsa fatturazione, bancarotta fraudolenta, tutti reati aggravati dalla finalità mafiosa. La prima tappa in tribunale a Milano risale come detto allo scorso gennaio, quando un altro Gup, Luca Milani, ha pronunciato con rito abbreviato le prime 14 condanne – da un anno e 4 mesi a 7 anni di carcere – nei confronti di persone oggetto di misure cautelari. Gli imputati hanno ammesso di aver partecipato a un’associazione per delinquere avente solidi e perduranti legami con la cosca delle famiglie ’ndranghetiste Arena e Nicoscia di Isola Capo Rizzuto.

‘Pur di aiutare i Rossi’

Dimostrata insomma la capacità del gruppo imprenditoriale-criminale delle famiglie calabresi Aloisio e Giardino, referente nel Nord Italia degli Arena e Nicoscia, di mettere le mani tra il 2016 e il 2020 sugli appalti assegnati dalla società Rete ferroviaria italiana, parte offesa del procedimento, a consorzi di ditte. I quali facevano capo anche a operai non qualificati gestiti, o messi a disposizione in subappalto, da altre ditte in odor di ’ndrangheta. Il Gup Milani nella sua decisione, parzialmente riportata dai media italiani, ha dimostrato “la prassi di offrire occasioni di lavoro” a persone di Isola Capo Rizzuto al fine di “consentire l’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore della costruzione e manutenzione delle reti ferroviarie”. Emerge anche “il controllo che i Giardino e gli Aloisio sono in grado di esercitare sulla manodopera”. E anche il fatto che Alfonso Giardino, uno dei 40 indagati, sarebbe “pronto a fare di tutto, anche false dichiarazioni, pur di aiutare i Rossi consapevole che obiettivo dell’attività investigativa è il gruppo Rossi”. Un caso emblematico è quello di Francesco Nicoscia, di cui ha riferito l’8 ottobre la trasmissione ‘Report’ della Rai: dipendente della Nico.fer di Verona, specializzata in armature d’acciaio per calcestruzzo, è indicato dagli inquirenti come il suo vero dirigente. Ebbene nei confronti della Nico.fer il 1° giugno 2017 era scattata un’interdittiva antimafia per attività contigue a quelle della famiglia Giardino, indicando così il rischio d’infiltrazione mafiosa. Ciò nonostante, sempre stando alla Rai, il gruppo Gcf ha continuato a lavorare con la Nico.fer.

In Danimarca sanzioni sindacali e multa

Come svelato dalla trasmissione ‘Falò’ della Rsi, Gcf nella realizzazione di opere ferroviarie in Danimarca si è dovuta confrontare con tre vertenze avviate dal sindacato 3F su tre cantieri. A Copenaghen dal 2015 al 2018 Gcf ha partecipato alla realizzazione della nuova linea metropolitana. Un milione e 800mila franchi l’importo versato al sindacato per gli abusi denunciati. L’agreement è stato sottoscritto nel settembre 2017 da Edoardo Rossi. Ad Aahrus, seconda città danese per popolazione, Gcf ha contribuito alla realizzazione della metropolitana leggera. Anche qui sono stati denunciati gravi abusi sugli orari di lavoro che a Gcf sono costati 400mila franchi; 3F voleva andare a processo, ma secondo il sindacato i testimoni non si sarebbero presentati. Sempre 3F ha rifiutato d’incassarne altri 470mila proposti da Gcf a condizione (rispedita al mittente) che firmasse una clausola di segretezza. Un accordo simile è stato invece siglato tra le parti in una terza vertenza che ha riguardato il rinnovamento ferroviario tra Hundige e Køge che garantisce il collegamento con la capitale e la rete metropolitana. Sempre in materia di sicurezza, l’anno scorso Gcg è stata condannata dalla giustizia danese a pagare una multa penale di centomila corone (15mila franchi) per violazione della legge sul lavoro avendo utilizzato nel marzo 2017 un carrello in modo non conforme agli standard di sicurezza e a causa del quale un operaio si è ferito.

‘Sfruttamento e condizioni disumane’

Nell’inchiesta della pm Albertini i fratelli Rossi vengono descritti come i “referenti da oltre vent’anni delle famiglie di mafia Giardino, Nicoscia e Aloisio”. Famiglie “cui vengono assegnate sistematicamente, in regime di subappalto mascherato, i lavori di manutenzione della rete ferroviaria sull’intero Nord Italia”. Il modus operandi? “Attraverso la simulazione di contratti di lavoro autentici – scrive la pm – si realizza una somministrazione fraudolenta di manodopera” con tanto di “sfruttamento della stessa” e operai che “lavorano in condizioni disumane ed economicamente poco vantaggiose”. Sfruttamento e condizioni disumane emerse, come si è visto, anche a Copenaghen e nelle denunce presentate dagli operai impiegati al Ceneri. Alcuni di questi sono stati sentiti dal pp Gianini, che nei mesi scorsi ha effettuato nuovi interrogatori; altri operai gli hanno inviato testimonianze scritte e attendono di essere verbalizzati.

Con le Ffs appalto decennale da 20 milioni

Anche le Ffs osservano con attenzione queste vicende giudiziarie. Dopo l’armamento nella galleria del Ceneri, Gcf ha infatti siglato un contratto quadro per lavori di rincalzatura e di manutenzione della rete ferroviaria svizzera. La commessa pubblica, dal 2016 al 2025, ammonta in totale a 20 milioni di franchi. Ha inoltre realizzato l’armamento della galleria del Leb fra Losanna, Echallens e Bercher. Le Ffs lo scorso 3 marzo ci avevano spiegato di seguire le vertenze penali in Svizzera e Italia e di non poter intrattenere rapporti contrattuali con un’azienda associata a un’organizzazione criminale. Perciò si riservano di prendere provvedimenti in relazione alle attività in corso, nuove e future.

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