la ricorrenza

Il fallimento della Seconda rivoluzione d’ottobre

Il racconto dall’interno del tentato golpe del ’93 nei confronti di Eltsin, tra generali improbabili, proiettili impazziti e cittadini indifferenti

Un carro armato davanti alla Casa Bianca di Mosca
(Keystone)
4 ottobre 2023
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Mosca – Sabato pomeriggio, 2 ottobre 1993. Giornata uggiosa. La festa dell’Arbat, la via pedonale, ha attirato tante famiglie moscovite. A un tratto in lontananza si sentono delle urla selvagge provenienti dal vicino corso, nei pressi del Ministero degli esteri.

Pseudo-manifestanti nazionalcomunisti travolgono il cordone della militsija. Sono botte da orbi; la sassaiola è fitta. Si comprende subito che stiamo osservando una sommossa ben pianificata. Quindi è vera la soffiata secondo cui erano appena arrivati in treno nella capitale i “mazzieri” dalla Transnistria, regione separatista dalla Moldova che avevamo visitato due anni prima.

Il momento delle barricate

Sull’Anello dei giardini facinorosi in maniera quasi professionale innalzano barricate, fatte con lamiere e tubi rubati in un cantiere edile. Dopo poco dei copertoni di pneumatici vengono dati alle fiamme. La puzza è insopportabile.


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Fumo e bandiere sovietiche il 2 ottobre 1993 a Mosca

La sensazione è che da lì a poco ci sarà il tentativo di spezzare l’isolamento della vicina “Casa Bianca”, circondata da unità speciali fedeli al Cremlino da una decina di giorni. E invece no: alle 23 sorprendentemente tutto finisce. Qualcuno voleva solo testare la reazione delle Forze dell’ordine.

La crisi istituzionale – che contrappone da mesi la presidenza della Federazione al Soviet supremo russo – è ormai a un punto di non ritorno. Il tema ufficiale del contendere è la nuova Costituzione. In realtà dietro alle quinte si lotta per bloccare le riforme, per impedire alla Russia di scegliere un suo corso post-sovietico, per accaparrarsi le ricchezze dello Stato attraverso la gestione delle privatizzazioni.

La crisi economica – triste eredità della stagnazione brezhneviana e delle fallite politiche di Gorbaciov – è pesante. Nessuno prima d’ora ha mai tentato di trasformare un sistema comunista in un’economia di mercato. Si procede così a tentoni: si è partiti nel gennaio ’92 con la “terapia shock” di Gajdar per poi, alla fine di quell’anno, virare su approcci più blandi con Cernomyrdin.

Il presidente Boris Eltsin da una parte e lo speaker del Soviet Ruslan Khasbulatov dall’altra hanno opposti progetti costituzionali: il primo di tipo presidenziale, il secondo parlamentare. L’amicizia e la stima reciproca sono ormai scemate. Sono passati lunghi mesi da quando Eltsin volle proprio il ceceno Khasbulatov come speaker del Soviet al suo posto, poiché “Corvo bianco” doveva assumere la carica di capo della Federazione russa. E quando insieme lottarono contro i putschisti nell’agosto ’91. Le liti pubbliche, le offese personali e l’incapacità di dialogare hanno tracciato un solco insuperabile tra i due.


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Un militare implora il cordone di protezione davanti alla Casa Bianca

“Il Soviet supremo e Khasbulatov hanno da tempo passato la misura – afferma al telefono Elena Bonner, la vedova di Andrej Sacharov, pochi minuti dopo che Eltsin annuncia la sera del 21 settembre in tivù lo scioglimento del Parlamento –. Sicuramente il passo intrapreso dal Presidente non è del tutto costituzionale, ma purtroppo la realtà è lontana dalla teoria. Questa era ormai l’unica mossa restatagli. La colpa non è sua. Sono gli altri ad averlo costretto”.

Intorno alla mezzanotte arriviamo alla “Casa Bianca”, la sede del Soviet supremo. Più ci avviciniamo al palazzo più si addensano centinaia di attivisti con le bandiere rosse e riecheggiano canti nostalgici sovietici. Vengono erette le prime rudimentali barricate. Ferraglia, sassi, cassonetti della spazzatura sono ammassati disordinatamente. “Ci hanno venduti, siano maledetti!” sono alcuni degli improperi rivolti a Eltsin e a Gorbaciov.

All’interno dell’edificio non c’è traccia della confusione esterna. Nella seduta in corso i presenti eleggono il nuovo presidente al posto di Eltsin e i nuovi ministri. Tra il pubblico ci accomodiamo affianco al segretario del Pc Zjuganov, che ci dice: “È un colpo di Stato. Presto arriveranno i deputati e faremo il Congresso”. Dopo che ci rendiamo conto che nessuno ha la più pallida idea di cosa stesse succedendo nel Paese, alle 3.30 torniamo a casa.

Nei corridoi del potere

Il giorno dopo alla “Casa Bianca” l’organizzazione è migliorata. Vediamo uomini in mimetica armati con kalashnikov e pistole, militari in borghese nascondere maldestramente i fucili sotto grossi impermeabili, estremisti in cerca di avventure. Seguiamo il neoministro della Difesa Acialov, che si aggira con aria marziale nei corridoi. I suoi abbondanti 10 chili in eccesso rendono ancora più goffo il suo incedere.

Il Cremlino fa mettere fuori uso i fax e le linee telefoniche. Quindi dopo qualche giorno vengono staccate l’energia elettrica e l’acqua. La “Casa Bianca” viene isolata e circondata. I deputati restano nel palazzo attorniati da un migliaio di persone, organizzate in plotoni.


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I supporter di Eltsin in piazza

Il russo medio continua a vivere la sua normale vita quotidiana. Sono finiti i tempi in cui a centinaia di migliaia scendevano per strada. L’entusiasmo per la nuova era è finito; la crisi economica ha travolto l’impegno politico. La gente osserva da lontano.

Il Patriarca Alessio II interviene: il rischio di spargimento di sangue è troppo alto. Invita le parti a San Danilo per cercare una soluzione in extremis. Finalmente si tratta. Il cordone di polizia attorno alla “Casa Bianca” si allenta. Il primo ottobre riusciamo a rientrarvi.

Mentre vaghiamo nei corridoi, incontriamo il capo dell’Associazione dei corrispondenti stranieri, che ci invita a seguirlo. Siamo al quinto piano. D’un tratto ci troviamo nell’ufficio di Khasbulatov, che è ancora più pallido del solito ed è teso come una molla.

Mentre ci fa accomodare ci mostra un documento della mattina del 19 agosto ’91 con le firme sua, di Eltsin e del premier Silaev, in cui si invita il popolo a sollevarsi contro i putschisti. Per l’emozione ci inizia a gocciolare il naso. “Se il Cremlino ha voluto incontrare i nostri rappresentanti – sostiene Khasbulatov – vuol dire che non si sente così forte”.

Gli eventi, però, precipitano. Gli estremisti nazionalcomunisti hanno fatto affluire da fuori Mosca “mazzieri” dalla Transnistria, mercenari già combattenti in Jugoslavia, reduci afghani, nostalgici sovietici, gente abituata a menar le mani.

Dopo le prove del 2 ottobre, il giorno dopo decidono di assestare la spallata decisiva. Il generale Makasciov, già consigliere militare del presidente della Transnistria conosciuto per le sue posizioni antisemite e favorevoli ai golpisti vetero-comunisti del ’91, attacca il Municipio di Mosca. Un migliaio di persone va, invece, all’assalto della televisione. L’idea è da lì sollevare l’intera Russia. Ma ad Ostankino un poliziotto apre il fuoco per difendersi contro un camion che sfonda il portone di ingresso. È un bagno di sangue. Gli assalitori vengono respinti e tornano in nottata alla “Casa Bianca”.

Lo spettacolo finale

Boris Eltsin è arrivato nel frattempo alle tre del pomeriggio di quella tragica domenica al Cremlino in elicottero. Miracolosamente, nel vuoto più totale, riesce a trovare una manciata di carri armati e qualche unità speciale.

Mentre Mosca continua la sua vita quotidiana, in migliaia si addensano all’alba di lunedì 4 a godersi lo spettacolo finale. Alle prime cannonate sparate da un carro armato una donna di mezza età, di nome Tanja, viene colpita da una crisi di nervi. La figlia è all’interno della “Casa Bianca”. Sotto il ponte del Kutuzovskij prospekt i più giovani si spintonano per vedere meglio. Lo stesso quelli vicino al palazzo dell’ex Comecon. Qualcuno fotografa, qualcuno ride. “Beccati questo, terrone ceceno!”, grida uno. “I democratici – si lamenta un impiegato – hanno distrutto il nostro Paese. Guardate quanto costa vivere”. Ma subito giunge la risposta di un signore vicino: “Basta lager! Ne abbiamo abbastanza di 70 anni di dittatura comunista”.


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I carri armati fatti arrivare da Eltsin il 4 ottobre

Malgrado i carristi si sforzassero di colpire le finestre, alcuni proiettili finiscono sulla struttura. Gli ultimi piani della “Casa Bianca” prendono fuoco. “Eravamo tutti distesi per terra – ci raccontò la sua versione qualche tempo dopo Nikolaj –. Nessuno riusciva a sparare. Ci saremmo dovuti sporgere, diventando dei facili bersagli”.

Dopo poche ore arriva la resa. Ufficialmente nei due giorni di scontri 147 persone sono morte. Khasbulatov e i capi-rivoltosi vengono arrestati, salvo poi essere amnistiati dopo pochi mesi. In dicembre elezioni realmente libere e referendum costituzionale.

Quella sera, tornando dall’ufficio Ansa in auto, ci passano sulla testa colpi di fucile. Il cielo è pieno di traccianti. Gruppi deviati dell’ex Kgb, i Servizi segreti, da in cima ai palazzi sul Kalininskij prospekt, da dove si osserva l’ambasciata Usa – a un chilometro dalla “Casa Bianca” – resistono. Sono loro ad aver fiancheggiato i rivoltosi nazional-comunisti, gli orfani dell’Urss e dell’impero.

La “Seconda rivoluzione d’ottobre” è così fallita. Al posto di un debole Kerenskij vi è un presidente deciso. Come ci raccontò l’accademico Likhaciov, testimone nel 1917, i cittadini impauriti allora se ne rimasero in casa e un piccolo manipolo di persone organizzò il colpo di Stato.


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Eltsin soddisfatto due mesi dopo il golpe fallito

Mai sottovalutare gli eversivi

“L’avventura di Khasbulatov – commentò qualche settimana dopo Eltsin – per poco non portava il Paese alla guerra civile. Purtroppo noi non avevamo meccanismi giuridici per risolvere le maggiori controversie nell’ambito del potere. Tutti i tentativi per crearli si scontravano con la ferma opposizione del Soviet Supremo”. E poi. I nazionalcomunisti hanno organizzato “blitz per conquistare i punti chiave della capitale secondo lo scenario dell’ottobre 1917”. La lezione che si deve apprendere è che “in Russia in nessun modo dobbiamo sottovalutare il pericolo delle forze fascio-comuniste che sono ancora in grado, se non di rinascere, di portare non poco male al Paese”.

Allora il democratico Boris Eltsin bloccò sul nascere il tentativo di riconquistare l’Urss. Certi suoi commenti appaiono oggi profetici alla luce delle tragedie contemporanee. Basta sfogliare le biografie degli “eroi” del 2014 per averne conferma.

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