Estero

Fino a dieci anni di carcere in Iran per le donne senza velo

Il Parlamento approva una nuova legge che inasprisce le punizioni per chi disobbedisce. Restrizioni anche a scuola, nei media e nel settore del turismo.

Messi al bando gli ‘abbigliamenti impropri’
(Keystone)
20 settembre 2023
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Istanbul – Hijab e castità oppure la prigione. L'Iran ha inasprito le punizioni per le donne che non portano il velo, obbligatorio in pubblico fin dalla fondazione della Repubblica islamica, con l'approvazione in parlamento di una nuova legge per "sostenere la cultura della castità e dell'hijab" che prevede pene molto severe in caso di trasgressione.

Chiunque non osservi i nuovi regolamenti, con l'aggravante della "collaborazione con governi, reti, agenti e media stranieri", riceverà punizioni che possono arrivare fino a 10 anni di reclusione mentre il regolamento sul velo in vigore precedentemente prevedeva una detenzione da 10 giorni a 2 mesi.

Promozione dell’hijab e della castità

Il disegno di legge non si limita a punire le donne che non portano il velo in pubblico, o non lo indossano in modo "corretto", ma riguarda anche norme per promuovere l'hijab e la castità a scuola, nei media e nel settore del turismo. Il provvedimento prevede per le trasgressioni multe fino all'equivalente di 6.000 dollari, il licenziamento, periodi di detenzione di varia durata, la confisca delle automobili, la chiusura di esercizi commerciali, il sequestro del passaporto e il divieto di lasciare il Paese dai sei mesi ai due anni.

Oltre alla mancanza del velo, vestirsi con "un abbigliamento improprio", e quindi punibile, per le donne "significa indossare abiti succinti o attillati o che mostrino una parte del corpo più in basso del collo o più in alto delle caviglie o più in alto degli avambracci", si legge nel provvedimento. Saranno puniti con delle multe, o con il sequestro del passaporto fino a due anni, anche coloro che "insultano o deridono l'hijab nello spazio virtuale o non virtuale, promuovono la nudità e l'indecenza". La nuova legge impartisce anche direzioni precise a vari ministeri, come quello della Pubblica Istruzione, che è tenuto a "promuovere lo stile di vita islamico, orientato alla famiglia, e la cultura della castità e dell'hijab a tutti i livelli educativi".

Videosorveglianza e intelligenza artificiale

Anche i media sono tenuti a "introdurre e promuovere i simboli e i modelli dello stile di vita islamico, evitando la promozione della sessualità immorale, di relazioni malsane e di modelli individualistici e contro la famiglia". Il ministero dell'Economia e delle Finanze poi dovrà "vietare l'importazione di indumenti proibiti, statue, bambole, manichini, dipinti e altri prodotti che promuovono la nudità e l'indecenza" e saranno fermati alla dogana libri o le immagini che promuovono "immoralità". Mentre il dicastero del Turismo dovrà progettare gite e tour basati sul "modello islamico dell'Iran".

Saranno le forze di polizia e il Corpo delle Guardie della Rivoluzione islamica ad assicurare che i nuovi regolamenti vengano rispettati, anche attraverso i filmati a circuito chiuso delle telecamere di sorveglianza e l'intelligenza artificiale. Il testo del provvedimento, che dovrà essere convalidato dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione, prevede un periodo sperimentale di tre anni prima di diventare definitivo ed è stato approvato dal parlamento iraniano con 152 voti favorevoli, mentre 34 deputati hanno votato contro e 7 si sono astenuti.

A un anno dalla morte di Mahsa Amini

Il voto parlamentare coincide quasi con il primo anniversario della morte di Mahsa Amini, la ventenne curda che ha perso la vita il 16 settembre del 2022 a Teheran dopo essere stata messa in custodia dalla polizia morale perché non portava l'hijab in modo corretto. La morte della giovane, secondo molti iraniani dovuta a percosse ricevute mentre si trovava in custodia, provocò un'ondata di proteste anti governative in molte città del Paese, dove i manifestanti hanno duramente contestato l'obbligo di indossare il velo in pubblico e si sono viste molte dimostranti marciare coi capelli al vento, sfidando la legge, o bruciando in pubblico il proprio hijab.

La Repubblica islamica non ha fatto alcun passo indietro rispetto all'obbligo sul velo e oggi ha anzi inasprito le pene mentre il presidente Ebrahim Raisi è tornato a negare le accuse secondo cui Mahsa avrebbe perso la vita a causa di violenze durante l'arresto. "Riguardo all'incidente dello scorso anno dove una ragazza ha avuto una disgrazia, tutte le inchieste mediche mostrano che non è stata colpita dalla polizia", ha detto ieri Raisi a New York in occasione dell'Assemblea generale dell'Onu.

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