Estero

L’eterno ritorno del Cile in braccio alla destra

Definire ‘pinochettista’ la destra che ha vinto le elezioni per il Consiglio costituzionale è fuorviante. Ma per il progressista Boric è una batosta

(Keystone)
15 maggio 2023
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Chi si aspettava da José Antonio Kast un discorso segnato dalla felicità per la vittoria dell’estrema destra nelle elezioni per il nuovo Consiglio costituzionale cileno è rimasto deluso. A risultati appena scrutinati, il leader del Partito Repubblicano ha esordito con un laconico: “Non c’è nulla da festeggiare”, e subito dopo ha ricordato i problemi attuali del Paese. “Il Cile non sta bene, i cileni non vivono bene. La maggioranza di chi ci sta seguendo domani mattina dovrà alzarsi presto per andare a lavorare, con un salario che non basta per arrivare a fine mese, molti avranno paura della criminalità, altri sono da tempo alla ricerca di un lavoro che non c’è più”.

Un tramonto

Parole proiettate verso il futuro: la questione costituzionale si intreccia, come succede da tre anni a questa parte, con la lotta politica di tutti i giorni. Da candidato sconfitto un anno e mezzo fa dal giovane progressista Gabriel Boric, Kast si è preso una rivincita pesante, che lo proietta verso le presidenziali del 2025. C’è chi lo dipinge come “erede di Pinochet”, ma è un’etichetta riduttiva e fuorviante in un Paese che da sempre è il più interessante laboratorio politico del Sudamerica. Che i “republicanos” siano di destra non ci piove, ma a 33 anni dalla fine della dittatura molte cose sono cambiate. Questa ultima elezione, la sesta in quattro anni, ha mandato definitivamente in pensione la classe politica post-regime, ma ha anche ridimensionato notevolmente l’impatto dell’“Estallido”, la stagione delle proteste sociali del 2019 che sono sfociate poi nel grande movimento di riforma del vecchio testo costituzionale ereditato dal pinochettismo, il compito che spetta al Consiglio.

In Cile oggi esistono due destre, quella nuova e battagliera di Kast, che si è aggiudicata 23 dei 51 seggi del Consiglio costituzionale, e quella classica dei partiti post-Pinochet che ha comunque tenuto banco, con 11 seggi. La sinistra di governo del presidente Boric, con le nuove forze nate negli ultimi anni e il tradizionale partito socialista, si è fermata a 16 seggi, lontani dalla soglia psicologica dei 21 seggi che le avrebbe permesso di porre il veto e quindi condizionare il lavoro delle destre. Escono distrutte, poi, le forze moderate che hanno governato per molti anni, come la Democrazia cristiana e il Partito per la democrazia (Ppd). È il tramonto di una classe dirigente molto in là con l’età, che ormai non seduce più l’elettorato.

Anche Boric ha parlato dopo il voto, direttamente dal Palazzo della Moneda: “Abbiamo una nuova opportunità per costruire una Carta magna che rappresenti nella miglior maniera possibile le speranze e le aspettative della nostra gente”, ha detto. Un dialogo, hanno fatto notare gli analisti, che sarà molto difficile, considerando i numeri e la posta in gioco. Kast è la stella in ascesa e la sua forza finirà per attrarre anche i conservatori moderati.

‘Il Cile non è la Bolivia’

Non ci sarà spazio, nel nuovo testo, per grandi voli pindarici a sinistra, come quelli scritti nel primo testo costituzionale bocciato sonoramente dalla popolazione. È sulle ceneri di quell’esperienza che si è costruita la solidità della vittoria della destra. La prima assemblea costituente sorprese il mondo per le istanze trattate e per la sua composizione: c’erano molti neofiti, tanti indipendenti lontani dai partiti, una folta presenza di delegati dei popoli indigeni e un senso di diffidenza diffuso verso le logiche politiche tradizionali. Ne uscì un testo finale fortemente innovativo, che dichiarava il Cile uno Stato plurinazionale con forti autonomie per i popoli originari, che metteva al centro l’ecologia e il diritto universale alle risorse naturali nell’unico Paese al mondo – questa sì è un’eredità del regime – dove l’acqua è privatizzata.

“Il Cile non è la Bolivia – protestarono i pochi rappresentanti conservatori in aula – non siamo discepoli di Evo Morales”. Il Cile arrivò al referendum del quattro settembre 2022 profondamente diviso. Molta gente che aveva partecipato alle proteste di piazza che misero all’angolo il governo del conservatore Sebastian Piñera non si riconoscevano nel testo da approvare. Lo sentivano troppo estremo, eccessivamente divisivo, senza quell’idea di “cambiamenti graduali e ordinati” che aveva segnato da anni la politica cilena.

La sconfitta fu pesantissima, complice anche il fatto che il voto diventò per la prima volta obbligatorio, come lo è negli altri Paesi sudamericani. L’elettorato moderato che molte volte ha disertato le urne è stato dunque obbligato ad andarci e ha contribuito alla bocciatura della proposta.

Pia Matta è giornalista e attivista comunitaria, ha fondato negli anni Ottanta “Radio Tierra”, la prima emittente femminista cilena, ma è stata molto critica del primo processo costituente: “Se dieron todos los gustitos - dice usando un’espressione pienamente cilena –, hanno voluto la terra e la luna senza tenere in conto la realtà. Il Cile si era spostato a sinistra, è vero, ma non era pronto per grandi rivoluzioni”.

Toni trumpiani e meloniani

Quella vittoria del No è stata l’anticamera di quest’ultimo trionfo della destra. Kast è stato abile durante la campagna elettorale a spostare il focus dell’attenzione sui suoi cavalli di battaglia, senza perdersi nei grandi castelli dei sogni costituzionalisti del progressismo. Ha detto ai cileni che i problemi veri sono la sicurezza, il lavoro, la lotta alla droga e il controllo dell’immigrazione. Invece di parlare della riforma delle pensioni o di diritti civili, i “republicanos” hanno citato i dati sull’aumento di furti e omicidi, hanno puntato il dito sugli attentati compiuti dalle cellule di indios mapuche nel Sud e sulle proteste degli immigrati venezuelani nel Nord. Temi e strategia simili a quelli usati da Trump, da Vox in Spagna, dalla Meloni o Salvini in Italia.

Mentre a sinistra lo bollavano come erede di Pinochet, lui ha parlato di presente e ha dato ricette facili – dal suo punto di vista – per il futuro. Ha preso la palla e ha condotto fin dal primo minuto il ritmo della partita, con una strategia chiara di erosione del consenso già in picchiata del governo Boric. Il presidente ha subito il colpo, non è riuscito a togliersi dall’angolo, è stato messo sul banco degli accusati per la ripresa economica che stenta a decollare, per l’inflazione, per la fine della concessione dei crediti concessi durante la pandemia a famiglie e imprese. Il suo mandato era partito sull’onda di un entusiasmo per la novità che lui stesso rappresentava: il presidente più giovane della storia del Cile, a capo di una forza creata da pochissimo tempo, capace di articolare una coalizione che spaziava dal partito comunista al centro socialdemocratico e di ispirarsi a Salvador Allende e all’utopia di un Paese più giusto ed inclusivo. In poco più di un anno il suo capitale politico è crollato, Boric ha dovuto allargare la sua base di governo a forze moderate, sopportare la sconfitta nel referendum costituzionale, fare i conti con la crisi legata all’insicurezza e alle proteste degli immigrati.

La crisi del ‘progetto Boric’

Il “progetto Boric” si è arenato nelle difficoltà di una nazione in fase di transizione, che ha voluto rompere con i politici del passato, ma che non ama fare salti troppo lunghi. L’esplosione della delinquenza comune è un tema di cui ora parlano tutti i partiti, anche a sinistra, ma l’elettorato preferisce evidentemente le ricette della destra di repressione e pugno duro, piuttosto che le politiche di controllo del territorio e maggiore inclusione sociale dell’universo progressista. In cinque anni sono arrivati 1,2 milioni di immigrati, in gran parte venezuelani e haitiani, più del 7% della popolazione: un flusso senza controllo e senza possibilità di essere assorbito dal mercato formale del lavoro.

Molti cileni che hanno protestato contro il modello economico ereditato dalla dittatura, con le pensioni da fame, lo Stato sociale scadente, i costi altissimi per salute ed educazione ora sono ancor più preoccupati per le gang di narcotrafficanti e gli attacchi delle gang ai carabineros. Se è troppo presto per pensare a un modello “scandinavo” di democrazia e gestione dello Stato, per molti è urgente evitare di “sudamericanizzarsi” totalmente sul fronte dell’ordine pubblico, con situazioni di violenza simili alle periferie delle metropoli argentine o brasiliane.

Secondo Tomas Mosciatti, direttore dell’influente “Radio Bio Bio”, in questo panorama la strada per José Antonio Kast è tutta in discesa. “La destra ha la possibilità di scrivere una Costituzione accettabile ai più, cambiando alcuni aspetti di quella attuale per dare l’impressione di seppellire l’eredità pinochettista, ma senza grandi salti in avanti. Se questo testo sarà approvato a fine anno, Kast ha le porte aperte per vincere le presidenziali del 2025”. Il cerchio, allora, si chiuderebbe nella maniera più buffa. Perché il Cile tornerebbe, sostanzialmente, agli equilibri esistenti prima delle proteste e della pandemia.

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