Estero

La battaglia sulla neutralità, un concetto ambiguo

L’invasione dell’Ucraina riaccende il dibattito su un principio soggetto a interpretazioni diverse e sui rischi di complicità con gli oppressori

(Nationalbibliothek)
24 febbraio 2023
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Gli storici sanno bene che i miti non sono solo fantasie. Hanno una loro funzione. Nel caso di una nazione, consolidano i legami, danno un senso di appartenenza. Tra i capisaldi dell’identità svizzera primeggia l’idea di una neutralità che si è costruita nei secoli, a partire dalla celebre battaglia di Marignano del 1515. La sconfitta degli elvetici a opera dei francesi costituì un punto di svolta. Tesi elaborata in particolare dallo storico Edgar Bonjour, che non fa certamente l’unanimità ma che è rimasta ficcata nella memoria collettiva. Da quella data le truppe svizzere rinunciano de facto a svolgere un ruolo attivo/aggressivo, e lì a Marginano muore il loro progetto espansionistico.

Una storia a geometria variabile

Ma il concetto di neutralità come lo intendiamo oggi fu in realtà fissato dal Congresso di Vienna, alla fine delle guerre napoleoniche. Siamo dunque molti secoli dopo, più precisamente nel 1815. La neutralità fu allora imposta dalle potenze vincitrici per poter creare uno Stato cuscinetto. Lo statuto neutrale non fu accettato con molto favore da Berna: possiamo dire che gli Svizzeri lo accolsero controvoglia e lo inserirono ma solo marginalmente in un articolo costituzionale a metà dell’800, con la nascita dello Stato federale.

La neutralità, che secondo lo storico Thomas Maissen si sviluppa in modo pronunciato con la pace di Vestfalia (alla fine della Guerra dei trent’anni, nel 1648), divenne nella prima e seconda guerra mondiale uno strumento che portò benefici economici non secondari a un Paese che aveva deciso di mantenere un’equidistanza eticamente discutibile e controversa. In una bella intervista ai ‘Quaderni’ del ForumAlternativo lo storico Hans Ulrich Jost ricorda la confessione dell’allora responsabile della Banca Nazionale Svizzera, che nel 1912 difese in modo esplicito la neutralità prevedendo che "grandi quantità di valori fuggiranno dai territori confinanti per rifugiarsi nelle banche svizzere". "Mors tua, vita mea", in altre parole.

Il rapporto della Commissione indipendente di esperti Svizzera-Seconda guerra mondiale, diretta dallo storico Jean-François Bergier, aveva evidenziato una ventina di anni fa il ruolo della Banca Nazionale nelle transazioni di valuta e di oro: "Questo metallo può assumere forme molteplici e successive (lingotti, monete, gioielli), può venire fuso e rifuso e confondere tutte le tracce delle sue origini: ecco perché costituì un mezzo di pagamento universale o fu scambiato con divise più comodamente negoziabili. La Svizzera risultò al centro di quel gioco complesso e sottile ma ambiguo, destinato troppo spesso a dissimulare agli occhi del mondo il saccheggio criminale dell’oro altrui a profitto della Germania nazista". Come dire che la neutralità celava un evidente opportunismo. Anche il settore degli armamenti beneficiò dello statuto "neutrale": le industrie svizzere, con in prima fila la potente Oerlikon, avevano sostenuto in un primo momento soprattutto il riarmo di Francia e d’Inghilterra. Ma dopo la disfatta francese del giugno 1940, l’establishment politico-militare diresse le sue attenzioni sulla Wehrmacht.

Cavallo di battaglia della destra

La guerra in Ucraina, dopo le polemiche suscitate dalle rivelazioni della Commissione Bergier – e ancor prima da quelle sull’atteggiamento della Svizzera nel momento in cui il mondo "non neutrale" faceva pressione sul Sudafrica boicottando il regime di apartheid – riapre il dibattito sul capitolo "neutralità" e sulle sue innumerevoli ambiguità. Christoph Blocher non ha atteso a lungo per lanciarsi nella battaglia che i "liberi e svizzeri" vogliono conquistare alle urne proponendo un concetto blindato di neutralità, a prova di bomba. Nessuna ambiguità per Pro Svizzera che l’ex consigliere federale ha fondato con altri tenori dell’Udc, da Christoph Mörgeli a Piero Marchesi: l’iniziativa, che dovrebbe portare a una modifica costituzionale, mira a stabilire il principio di una ferrea neutralità. Berna deve astenersi da qualsiasi schieramento, osservare, non giudicare. Nessuna presa di posizione a favore degli aggrediti. Nessun passo contro gli aggressori. Nessun sequestro di beni, nessuna sanzione. L’Associazione degli imprenditori contro l’adesione all’Ue, gli ultras dell’Asni (Azione per una Svizzera Neutrale e Indipendente) e l’Udc sfoderano così le spade e si lanciano in un’iniziativa popolare per ancorare il mito fondatore alla Costituzione. Un ritorno a una purezza in realtà mai esistita, ma sulla quale deciderà verosimilmente il popolo.

‘Il gioco dell’aggressore’

Il concetto di neutralità non è univoco: la Svizzera ad esempio beneficia dell’ombrello protettivo della Nato, aderisce al Partenariato per la pace dal 1996, partecipa a missioni di pace in Kosovo (Swisscoy), vota all’Assemblea delle Nazioni Unite e da poco è nel Consiglio di Sicurezza dove ovviamente è chiamata a prender posizione. La Confederazione da anni è membro dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e cooperazione in Europa). Il centro e il centrodestra (con in prima fila i suoi capi, Thierry Burkart del Partito Liberale Radicale e Gerhard Pfister dell’Alleanza del Centro) contrariamente a Blocher vorrebbero impegnarsi maggiormente a favore della difesa della democrazia, rendendo ancor più flessibile il concetto di neutralità. "Fare il gioco di un aggressore, con il pretesto della neutralità, è il contrario della neutralità", aveva affermato Pfister sottolineando che la Svizzera doveva impegnarsi "per un’Europa libera e democratica" in cooperazione con i partner europei. Così la pensa anche il capo del Dipartimento federale degli Affari esteri Ignazio Cassis, che vorrebbe rendere più decisa quella "neutralità attiva" con cui l’ex ministra socialista Micheline Calmy-Rey aveva già aperto le porte a un impegno maggiore del nostro Paese nelle vicende mondiali.

La prudenza del Consiglio federale, anche nell’ottica di un voto popolare, lo induce al momento a preferire lo statu quo: la Svizzera, secondo le indicazioni del Rapporto sulla neutralità del 1993 (che fa riferimento alla Convenzione dell’Aja del 1907) si astiene dalle guerre, garantisce la propria difesa, non invia mercenari. Ma, precisa il rapporto, la neutralità è un concetto poliedrico, "né il suo contenuto né la sua durata sono entità immutabili". Importante al riguardo ricordare che il "diritto alla neutralità non considera minimamente le misure coercitive" applicate contro chi viola il diritto internazionale. In altre parole: sanzioni e neutralità non si contraddicono.

Tra riesportazioni e confische

Sul terreno della concretezza, l’applicazione della politica di neutralità può dunque manifestarsi in modi diversi. Da qui il dibattito che può suscitare la posizione elvetica nei confronti della guerra in Ucraina. Oggi bisogna decidere se poter fornire all’aggredito i mezzi per difendersi e ancor prima se è giusto autorizzare Paesi terzi a esportare materiale bellico svizzero a favore del Paese martoriato. Stiamo a guardare o aiutiamo chi subisce la violazione del diritto? Cosa significa essere neutrali di fronte all’ingiustizia, ai bombardamenti, ai massacri? I buoni uffici sono una realtà o un pretesto? Riappare qui e là sui social o nei dibattiti tra politici l’aforisma attribuito al vescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu, eroe della lotta anti-apartheid: "Se siete neutrali in situazioni di ingiustizia, avete scelto la parte dell’oppressore".

Cavallo di battaglia della destra radicale, la neutralità non fa molti proseliti a sinistra. Dal Partito Socialista voci autorevoli si levano per alzare il tiro, punire gli oligarchi, sequestrare i loro fondi e destinarli alla ricostruzione del Paese semidistrutto. Come se la memoria dell’oscura pagina della seconda guerra mondiale suggerisse oggi di non più schermirsi chiamandosi fuori dalle responsabilità della Storia. La stessa tardiva adesione all’Onu (2002) ha costituito un passo importante nella ridefinizione di un principio. Anche perché la Svizzera è stato l’unico Paese al mondo che ha aderito alla maggiore organizzazione internazionale per decisione popolare. L’Onu che promuove la pace e la sicurezza, che difende la sovranità degli Stati e proclama la rinuncia al ricorso alla forza nelle relazioni internazionali. Un principio che sembra per sua natura escludere una posizione di equidistanza in caso di conflitto.

Ora si tratta di capire fino a dove la politica vorrà spingersi per difendere nei fatti i principi della Carta delle Nazioni Unite: un primo tabù è stato recentemente infranto dalla Commissione parlamentare della politica di sicurezza che ha dato disco verde per la riesportazione di armi verso l’Ucraina, rispondendo così affermativamente alle richieste di Spagna, Danimarca o Germania. Un passo che richiede una modifica di legge, introducendo ad esempio un’eccezione nel caso in cui il Consiglio di Sicurezza o i due terzi dell’Assemblea dell’Onu denuncino un’aggressione a un Paese sovrano e una violazione del diritto internazionale. Proprio quanto successo per una guerra che ha messo a dura prova uno dei principi cardine della Confederazione, ponendoci di fronte a un’ineludibile scelta cruciale.

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