Estero

Un egiziano nuovo capo di al-Qaida, taglia da 10 milioni

Saif al Adel è un veterano del terrore, addestrò i dirottatori dell’11.9. Secondo gli Usa sarebbe ospitato e coperto dagli iraniani, che smentiscono

La scheda delle agenzie di intelligence su Saif al Adel
(Keystone)
16 febbraio 2023
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Al-Qaida ha un nuovo emiro: è Mohammed Salahuddin Zeidan, 62 anni, egiziano, nome di guerra Saif al Adel, ovvero, in arabo, ‘Spada della giustizia’. Non c’è stata una investitura ufficiale. L’internazionale del terrore ha tenuto la cosa riservata, per vari motivi, ma sia il Dipartimento di Stato americano, sia le Nazioni Unite hanno pochi dubbi che sia lui ad aver preso il bastone del comando dopo che Ayman al Zawahiri, egiziano come lui, è stato eliminato dagli Usa con un raid aereo sul suo covo a Kabul, il 31 luglio dello scorso anno.

"Il punto di vista predominante degli Stati membri è che (Adel) sia ora il leader de facto di al-Qaida, rappresentando la continuità", si afferma in un rapporto dell’Onu basato su informazioni raccolte da diverse agenzie di intelligence. Secondo tali agenzie, Saif al Adel si trova attualmente in Iran, ed è un veterano dell’organizzazione. Ha un curriculum da jihadista duro e puro che alcuni fanno risalire addirittura a un suo presunto coinvolgimento nell’assassinio del presidente egiziano Anwar al-Sadat da parte di soldati islamisti, nel 1981. Nell’esercito egiziano Adel ha peraltro fatto carriera, nelle forze speciali, arrivando ad ottenere il grado di tenente colonnello. Nel 1993 avrebbe partecipato all’imboscata contro un elicottero americano a Mogadiscio, in un episodio divenuto noto come Black Hawk Down, in cui morirono 18 militari statunitensi.

Gli attentati in Africa

Di certo, gli Stati Uniti lo ritengono uno dei maggiori responsabili del duplice attentato con camion bomba compiuto poi nel 1998 contro le ambasciate Usa in Tanzania e Kenya, in cui morirono 224 persone e oltre 5’000 rimasero ferite. È per questo che l’Fbi ha posto sulla sua testa una taglia da dieci milioni di dollari. Naturalmente, come tutti i veterani jihadisti di primo piano, ha anche combattuto contro le truppe sovietiche che nel 1979 invasero l’Afghanistan, dove avrebbe poi anche contribuito alla formazione del gruppo di dirottatori dell’11 settembre 2001, a fianco di Osama bin Laden. In seguito sarebbe stato collegato anche al brutale assassinio del giornalista americano del Wall Street Journal Daniel Pearl, decapitato in Pakistan nel 2002.

Subito dopo si sarebbe trasferito in Iran, sotto la protezione del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche. Una scelta, che, secondo il rapporto delle Nazioni Unite, pone "difficili questioni teologiche e operative" per al-Qaida, considerato che l’Iran è un Paese a maggioranza sciita, guidato da religiosi sciiti e che al-Qaida fa riferimento al fondamentalismo islamico sunnita e ha a lungo considerato i musulmani sciiti come apostati. E questo, secondo vari esperti, potrebbe essere uno dei motivi dietro il silenzio di al-Qaida sulla sua nomina.

Così come un altro dei motivi potrebbe essere l’opportunità di non mettere in imbarazzo i talebani al potere in Afghanistan, che non hanno mai riconosciuto che la persona uccisa nel raid americano dello scorso anno a Kabul fosse al Zawahiri. Anche perché gli stessi talebani hanno firmato un accordo con gli Stati Uniti impegnandosi a non dare rifugio a gruppi terroristici con finalità internazionali. Un altro motivo, infine, sarebbe la necessità di tenere un basso profilo, considerato che gli Stati Uniti hanno nel corso degli anni decimato con costanza e determinazione gran parte della leadership di al-Qaida e ora, di certo avranno più che mai anche il sedicente ‘Spada della giustizia’ nel mirino.

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