medio oriente

Sprofonda la lira, il Libano scende in piazza

Il potere tenta di bloccare l’inchiesta sull’esplosione nel porto di Beirut, mentre la crisi economica avanza

Manifestante a Beirut (Keystone)
25 gennaio 2023
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È buio pesto nel Libano attanagliato da una crisi finanziaria senza via d’uscita, dove il valore della lira locale ha toccato un nuovo record negativo, provocando la serrata dei benzinai e spingendo gente incollerita nelle strade, mentre l’élite al potere tenta in ogni modo di fermare l’inchiesta giudiziaria sulla devastante esplosione di Beirut di due anni e mezzo fa.

Questa stessa élite è accusata da più parti, dentro e fuori il Libano, di aver portato il Paese al default economico, palesatosi nell’autunno del 2019, e di aver consentito lo stoccaggio illegale per ben 7 anni nel porto di Beirut di 2’750 tonnellate di nitrato di ammonio, esplose il 4 agosto del 2020, uccidendo 250 persone, ferendone 6mila e danneggiando gli edifici di un terzo della capitale.

Bastoni tra le ruote

Per questo crimine l’inchiesta giudiziaria libanese, affidata al 47enne giudice indipendente Tareq Bitar, è stata congelata per 13 mesi, fino a ripartire, almeno negli intenti dello stesso Bitar, due giorni fa. Ma il procuratore generale della corte di cassazione, Ghassan Oueidat, nominato nel 2019 e indicato da più parti come uno strumento dell’élite politica, nell’arco di poche ore ha sparigliato le carte di Bitar, che aveva in precedenza inserito il nome dello stesso procuratore nella lista delle persone coinvolte nell’inchiesta.


In piazza contro il potere (Keystone)

La risposta di Oueidat non si è fatta attendere: il procuratore ha prima ricordato al giudice che l’inchiesta è ancora congelata, poi ha aperto contro di lui un procedimento restrittivo. Quindi, ha ordinato il rilascio di tutte le 17 persone finite in carcere subito dopo la tragedia del 4 agosto. Bitar, che aveva ordinato il rilascio solo di 5 di queste 17 persone, ha risposto in maniera decisa a Oueidat e ai suoi sponsor politici e istituzionali: "Non avete competenza per decidere le sorti dell’inchiesta, che prosegue e prosegue con me... non intendo mollare fino a quando non avrò redatto l’atto di accusa", ha detto Bitar ai media locali.

Prima che l’inchiesta venisse prima insabbiata e poi formalmente congelata nel 2021, Bitar aveva stilato una lista di persone coinvolte a vario titolo nella vicenda dell’esplosione del porto. Tra loro figurano ancora oggi l’ex premier Hassan Diab, ex ministri e attuali deputati, ma soprattutto il potentissimo generale Abbas Ibrahim, capo dei servizi di sicurezza e uomo di riferimento non solo per l’élite al potere, ma anche per le cancellerie straniere, Stati Uniti e Iran inclusi. E mentre il dollaro statunitense è scambiato a quasi 60mila lire (nel 2019 un dollaro valeva 1’500 lire), si sono moltiplicati gli appelli a scendere in piazza – a Beirut, Tripoli, Sidone e altre città – da parte di diverse piattaforme di cittadini: i familiari delle vittime dell’esplosione del 4 agosto così come i tassisti e gli impiegati pubblici, gente comune di un Paese dove – secondo l’Onu – 4 persone su 5 vivono ormai in povertà.

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