stati uniti

L’Oregon chiude il braccio della morte

Le frasi storte, assurde e ironiche di chi è andato al patibolo per provare a spiegare i perché di una governatrice che ha voluto cambiare rotta

Kate Brown, governatrice dell’Oregon (Keystone)
14 dicembre 2022
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Pochi sono i luoghi più disgraziati del braccio della morte, un purgatorio in Terra - e con una sola uscita - che l’umanità ha costruito per negare se stessa. Da quei corridoi, da quelle stanze spoglie che flirtano col grottesco sono uscite frasi apparentemente stonate e senza senso, le ultime dei condannati. Messe in fila, quelle parole, gettano una luce penetrante sulla contraddittorietà di uno Stato che si prende una vita per risarcirne altre, come se fossimo ancora ai tempi di Hammurabi: occhio per occhio, dente per dente, morto per morto, perdenti e perdenti. Perché, come diceva George Bernard Shaw, "i criminali non muoiono mai per mano della legge, ma per mano di altri uomini".

"Amo la mia famiglia. Patata, patata, patata", furono le ultime parole di Robert Charles Towery, giustiziato dieci anni fa in Arizona. La "patata" non era una vera patata, ma un tenero messaggio in codice per il nipote, un modo per dirgli, senza dirlo al mondo, che andava tutto bene, nonostante tutto.

La storia di Towery è un concentrato di quell’ironia tragica che gioca con le nostre vite: ucciso con un’iniezione letale dallo Stato, aveva ucciso con un’iniezione di acido della batteria un filantropo che solitamente gli prestava denaro per tirare avanti.

Johhny Frank Garrett, giustiziato in Texas nel 1992, aveva invece un messaggio per tutti: "Vorrei ringraziare la famiglia, per l’amore e per essersi presa cura di me. Il resto del mondo può baciarmi il sedere".

Jiimmy Glass, finito sulla sedia elettrica in Louisiana, nel 1987, disse semplicemente "preferirei essere a pescare", tirando fuori la routine dell’uomo medio della Settimana Enigmistica, o come diavolo si chiama in America.

Giochi pericolosi

Qualcuno con le parole ha voluto giocare, scegliendo proprio quella che uno - solitamente - si porta appresso dalla nascita fino alla morte e oltre: il proprio cognome. "Bene, signori, state per vedere una mela cotta", disse nel 1928, prima di finire sulla sedia elettrica, George Appel, il cui cognome si scirve quasi, ma si pronuncia come "apple", ovvero "mela" in italiano. Nel 1966, in Oklahoma, James French andò addirittura oltre, tirando in ballo direttamente i giornali: "Che ne pensate di ‘French Fries’ come titolo per domani?". French era lui e French Fries, negli Stati Uniti, sono le patatine fritte. Neanche a dirlo, anche per lui toccò in sorte la sedia elettrica.


Il braccio della morte nella prigione di San Quintino (Keystone)

C’è un’altra ultima frase di un condannato a morte rimasta in giro come un fantasma. A pronunciarla fu Jeffrey Dadivd Matthews, nel 2011, in Oklahoma. La sua esecuzione fu posticipata per ben tre volte, due per un intervento diretto, via telefono, del governatore dello Stato. Quando, alla fine, il momento arrivò davvero disse: "Penso che il telefono del governatore sia rotto. Non ha ancora chiamato".

A funzionare bene, a quanto pare, è il telefono di Kate Brown, la governatrice democratica dell’Oregon che, in uno degli ultimi atti del suo ultimo mandato, ha chiuso il braccio della morte del suo Stato, commutando in ergastolo e senza possibilità di sconti di pena, le condanne capitali di 17 detenuti.

"La pena di morte è immorale", ha detto Brown che, con un gesto simbolico, ha anche ordinato lo smantellamento della staza del boia. La governatrice ha rilanciatole tesi del movimento abolizionista parlando della pena di morte come di "una punizione irreversibile che non permette correzioni, uno spreco dei dollari dei contribuenti che non rende le comunità più sicure".

In gennaio Brown cederà il posto a Tina Kotek, anche lei democratica, contraria alla pena di morte per ragioni religiose. La decisione dell’Oregon fa seguito a quella della California, che tre anni fa ha "temporaneamente" sospeso le esecuzioni per oltre 700 detenuti in attesa nel braccio della morte.

Il tempo delle moratorie

Anche i governatori di Pennsylvania, Colorado e Washington hanno recentemente adottato una moratoria di fatto. L’annuncio è arrivato, non a caso, alla vigilia del voto dell’Assemblea Generale dell’Onu su una risoluzione che ogni due anni ribadisce il ‘no’ della comunità internazionale alla pena capitale, invitando tutti gli Stati membri ad adottare la moratoria in vista di una abolizione totale delle esecuzioni, che però non è all’orizzonte.

Pur essendo uno dei 27 stati Usa che prevede la pena di morte, l’Oregon non mette a morte un condannato dal 1997. Inoltre, nel 2019 il parlamento statale ha ridefinito il reato di omicidio aggravato decidendo di applicare la pena capitale a un limitato numero di casi: l’omicidio di poliziotti e di bambini sotto 14 anni, per attacchi terroristici con due o più vittime e per omicidi in carcere commessi da qualcuno già condannato per aver ucciso. Beneficeranno ora della decisione rei di crimini atroci, come Christian Longo, dal 2003 nel braccio della morte per aver ucciso la moglie e i tre figli, o Bruce Turnidge e suo figlio Joshua che rischiavano l’iniezione letale per un attentato del 2008 in cui persero la vita due poliziotti, e anche Jesse Compton, che nel 1997 uccise Tessylnn O’Cull, una bimba di tre anni.


Un ex condannato a morte con il cartello: "Ho un sogno, abolire la pena di morte"

Annunciando la decisione, Brown ha avuto un pensiero per le famiglie delle vittime: "Quel che è successo a loro è brutale, orrendo, terribile. Ma riconosco anche il dolore e l’incertezza di dover attendere per decenni la soluzione del caso e spero che i cambi di pena siano lo strumento per voltare pagina".

Non mancano le polemiche in un’America polarizzata su tutto, pena di morte compresa. Nel chiacchiericcio indistinto di favorevoli e contrari, viene da rivalutare altre voci di chi è finito al patibolo, come quella di Barbara Graham, giustiziata nel 1955 in California ("La brava gente è sempre sicura di avere ragione"), o di Grover Cleveland Redding, impiccato nel 1921. Si credeva il re d’Abissinia: dichiarato mentalmente instabile, lasciò i sani di mente così: "Avrei qualcosa da dire, ma non questa volta".

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