La categoria più toccata da querele e azioni giudiziarie? I giornalisti
Crescono le querele temerarie e le azioni giudiziarie contro i giornalisti, che sono sempre più in difficoltà nell’esercizio della loro funzione a causa di nuove leggi che vengono approvate in giro per il mondo. È un quadro a tinte fosche quello disegnato dall’Unesco in uno studio tradotto e pubblicato da Ossigeno per l’Informazione.
Con uno sguardo dall’alto, il documento dell’Agenzia delle Nazioni Unite descrive i problemi generali e quelli di ciascuna parte del mondo, indica i deludenti risultati delle battaglie dell’ultimo decennio e raccomanda ai governi dei singoli Paesi di fare meglio la loro parte con alcuni interventi concreti. Come si manifestano i problemi? Innanzitutto con il sempre più ampio "uso scorretto del sistema giudiziario per attaccare la libertà di espressione" ovvero con quelle azioni legali che in inglese si chiamano schiaffi (slapp).
In secondo luogo, con le nuove leggi prodotte nei vari Paesi hanno fatto fare passi indietro a questa fondamentale libertà. Dal 2016 a oggi, dice l’Unesco, in 44 Paesi 57 leggi e regolamenti nuovi o modificati contengono un linguaggio eccessivamente vago o punizioni sproporzionate tali da mettere in pericolo la libertà di espressione online e la libertà dei media. Inoltre stanno aumentando le querele, le cause civili per diffamazione e le "azioni legali strategiche contro la partecipazione pubblica".
Purtroppo, dieci anni di campagne volte a depenalizzare la diffamazione (cioè a regolarla con il codice civile e a punirla senza il carcere) si sono conclusi con un sostanziale fallimento o, come dice l’Unesco, con "una battuta d’arresto". Nell’80% dei Paesi del mondo la diffamazione è ancora regolata principalmente dalla legge penale e in molti Paesi i colpevoli sono passibili della pena detentiva. Eppure è sempre più condivisa – dice l’Unesco citando numerosi autorevoli pareri – l’opinione che giudicare le accuse di diffamazione a mezzo stampa come un reato abbia un effetto raggelante sulla libertà di informazione, e che il carcere sia una punizione sproporzionata per queste violazioni.
Eppure dieci anni fa la depenalizzazione si stava diffondendo anche all’interno di Paesi che poi invece hanno mantenuto o addirittura reintrodotto la morsa della via penale. Che cosa è accaduto? In questi anni, diversi Paesi hanno imboccato la strada opposta: hanno reintrodotto o inasprito le norme sulla diffamazione semplice e a mezzo stampa e sull’ingiuria, hanno promulgato nuove leggi per rafforzare la sicurezza informatica e combattere le "notizie false" e l’incitamento all’odio, hanno visto aumentare le cause civili per diffamazione, di solito preferibili, ma spesso tali da "turbare" la libertà di espressione e il lavoro dei giornali e dei giornalisti, per le richieste di risarcimento sproporzionate e i costi legali proibitivi.
Sulla scena sono apparse nuove forme di compressione del diritto d’espressione: il "forum shopping" che, ricorda Unesco, si riferisce alla pratica di selezionare il tribunale in cui intentare un’azione sulla base della prospettiva dell’esito più favorevole o di mettere in difficoltà l’accusato; le slapp basate sulle accuse di diffamazione usate spesso per spingere i giornalisti a non pubblicare determinate notizie e per scoraggiare i loro colleghi.