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Festeggia la sconfitta con gli Usa, ucciso 27enne

Tanti manifestanti in strada a esultare come forma di protesta contro il regime, la polizia risponde col fuoco

Tifose iraniane allo stadio (Keystone)
30 novembre 2022
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Festeggiare una sconfitta, per dare un ulteriore schiaffo al regime degli ayatollah. Anche il calcio spacca in due l’Iran, dove la paura della repressione non ha fermato decine di manifestanti antigovernativi dallo scendere in piazza in diverse città. Stavolta per fare festa dopo l’eliminazione dei "traditori" della nazionale iraniana dai Mondiali del Qatar, accusati di aver voltato le spalle alla causa dei manifestanti. La squadra è stata battuta per 0 a 1 dagli Stati Uniti in un match carico di molti significati extrasportivi.

La sconfitta li ha buttati fuori dalla competizione, facendo esplodere la festa tra i contrari al regime. Ma le celebrazioni sono durate poco, con le autorità disposte a spargere il sangue per mettere a tacere le critiche. Ad Anzali, nel nord, il 27enne Mehran Samak è stato ammazzato con un colpo in testa mentre festeggiava suonando il clacson della sua auto, hanno denunciato le ong. L’ennesima vittima di un regime che da oltre due mesi soffoca nel sangue le proteste di piazza esplose con la morte di Mahsa Amini, la 22enne di origine curda deceduta il 16 settembre dopo l’arresto perché non portava il velo in modo corretto. Da quel giorno, centinaia di persone sono morte - tra cui almeno 50 minori - e migliaia sono state arrestate.

Canti e clacson

Balli, canti, clacson e caroselli si sono moltiplicati nella notte per mandare il segnale che non c‘è bandiera, nemmeno nello sport, sotto il governo di Teheran. Tra i video pubblicati sui social, decine di persone applaudono, agitano veli e lanciano fuochi d’artificio a Saqqez, la città natale di Mahsa Amini. Filmati simili sono arrivati da altre città nella regione prevalentemente curda, dove nelle ultime settimane decine di manifestanti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza. A Kermanshah e Marivan ha riecheggiato il canto ’Donna, vita, libertà’, uno dei principali slogan delle proteste. A Teheran, gli studenti dell‘Università Imam Sadiq si sono riuniti davanti a una residenza universitaria e hanno cantato ’Morte al disonorevole’, aggettivo usato contro le forze di sicurezza e gridato dai tifosi allo stadio in Qatar durante la partita dell’Iran contro l’Inghilterra. Ma con i festeggiamenti, arriva anche la repressione: il collettivo 1500tasvir ha pubblicato un video che mostrerebbe le autorità che aprono il fuoco contro i manifestanti in festa nella città di Behbahan e picchiano una donna a Qazvin, vicino a Teheran.


L’iraniano Jalali dopo la sconfitta con gli Usa (Keystone)

Le tensioni hanno raggiunto anche il Qatar, dove oppositori e sostenitori di Teheran si sono scontrati fuori dallo stadio della partita contro gli Usa. In un altro video, un manifestante è stato arrestato violentemente dalle guardie di sicurezza fuori dall‘impianto mentre gridava ’Donna, vita, libertà’. Da voce del popolo contro il regime, i calciatori del Team Melli - come viene chiamata la nazionale iraniana - si sono trasformati così in simbolo della Repubblica islamica e nemici del movimento di protesta. Perché dopo aver tenuto le bocche chiuse durante l’inno nazionale alla loro prima partita del Mondiale - in un’apparente espressione di solidarietà con i manifestanti - hanno cantato alla partita del Galles e nel match contro gli Stati Uniti. Un tradimento della causa, secondo alcuni manifestanti.

Mentre c’è chi ritiene che la squadra sia stata costretta dalle autorità di Teheran a rigare dritto. Prima con l’arresto del celebre calciatore iraniano ex nazionale Voria Gafhouri, liberato su cauzione. Poi con le minacce di arresto e tortura contro le famiglie della squadra, secondo la Cnn. Nonostante gli elogi dei media affiliati allo Stato, c’è il rischio quindi che al ritorno a casa saranno in pochi a offrire abbracci e ad asciugare le lacrime versate dai calciatori per la sconfitta con gli Stati Uniti e la fine del mondiale. Ma pro o contro le proteste, è chiaro in ogni caso che con l’eliminazione del Team Melli dal Qatar si spegne un importante riflettore del mondo sulla crisi nel Paese, che sembra ben lontana dal concludersi.

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