Abu al-Hassan ‘morto in combattimento’, mistero sul quarto leader
Morto un misterioso leader se ne fa un altro, altrettanto misterioso: attraverso i suoi canali ufficiali l’Isis ha annunciato che il terzo Califfo del gruppo, Abu al-Hassan al-Hashimi al-Qurashi, nominato a marzo, è stato ucciso "in combattimento".
Lo scettro è stato affidato a Abu Al-Hussein al-Husseini al-Qurashi, ora quarto leader dell’organizzazione. Il titolo ‘Qurashi’ si riferisce al nome della tribù di Maometto: la discendenza dal profeta dell’Islam è rivendicata dai leader dell’Isis, a cominciare da Abu Bakr al Baghdadi, ucciso in un blitz americano in Siria nel 2019, mentre il successore, Abu Ibrahim al-Hashemi al-Qurashi, si è fatto esplodere lo scorso febbraio, anche lui in Siria, mentre era in corso un raid delle forze speciali Usa per catturarlo.
A differenza delle altre volte, l’Isis ha annunciato la nomina di Abu Al-Hussein insieme alla morte del predecessore, senza lasciare dunque spazio a interpretazioni su possibili lotte di potere ai vertici del gruppo. Del nuovo Califfo però non si sa praticamente nulla al momento, il portavoce ha indicato solo il suo nome di battaglia, qualificandolo come un jihadista veterano. D’altronde anche sull’identità del predecessore c’erano molti dubbi.
Combattenti dell’Isis a Raqqa (Keystone)
A fine maggio alcuni media turchi avevano fatto trapelare notizie di intelligence secondo le quali il leader dell’Isis era stato catturato in un’operazione a Istanbul. Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan avrebbe "annunciato presto la notizia", rivelavano le fonti. Nel frattempo però le intelligence di tutto il mondo erano costrette ad ammettere di non conoscere l’identità del Califfo: il principale sospettato era l’iracheno Bashar Khattab Ghazal al-Sumaida’i, ma l’indice era puntato anche contro Juma’a Awwad Ibrahim al-Badri, fratello di Abu Bakr al-Baghdadi, e Abd al-Raouf al-Muhajir, che sarebbe il responsabile operativo delle varie branche a livello internazionale del gruppo.
Si ritenne dunque che Ankara avesse sì effettuato un arresto di rilievo, ma non del leader bensì di al-Sumaida’i. A calare il sipario sulla vicenda ci ha pensato lo stesso Erdogan lo scorso settembre, annunciando la cattura proprio di al-Sumaida’i, indicato come "numero 3 dell’Isis", fermato mentre tentava di entrare nel Paese "con una parrucca e documenti falsi".
L’Isis sembra comunque impermeabile di fronte ai cambiamenti di leadership, anche perché è diventata un’organizzazione con una struttura decentralizzata, in particolare in Siria e Iraq, dove potrebbe contare ancora su circa diecimila combattenti armati, fiancheggiati da migliaia di sostenitori. In questi due Paesi, secondo gli 007 occidentali, l’Isis sfrutta la presenza sul campo e le conflittualità delle formazioni armate che hanno contribuito alla sua sconfitta e che oggi si contendono il territorio. L’organizzazione potrebbe poi contare su un solido network che collega l’Afghanistan, la Somalia e l’area del lago Ciad. Da qui filtrerebbero i fondi per rifornire di armi i combattenti, in particolare in quel territorio afghano divenuto da tempo la nuova frontiera degli eredi di Baghdadi che sfidano apertamente i Talebani con una sequela di sanguinosi attentati e micidiali attacchi. (ANSA).