la guerra in ucraina

Dopo l’attacco al ponte, Mosca studia la rappresaglia

Per i falchi del Cremlino ciò che è accaduto in Crimea non può restare impunito

Il ponte Kerch in fiamme dopo l’attacco (Keystone)
9 ottobre 2022
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"Il ponte della Crimea è stato colpito perché non c’è stata risposta per l’attacco terroristico contro il Nord Stream. E il Nord Stream è stato fatto esplodere perché non c’è stata risposta per il terrorismo nucleare nella centrale nucleare di Zaporizhzhia. Se non c’è una risposta dura e dolorosa per l’attacco terroristico contro il ponte di Crimea, allora gli attacchi terroristici potrebbero presto arrivare nelle principali città russe". L’invito alla rappresaglia di Serghei Markov, influente politologo russo ed ex consigliere di Vladimir Putin, serpeggia su Telegram e tra i corridoi del Cremlino.

Ora dopo ora, le voci di chi invoca la vendetta ingrossano il coro. L’affronto simbolico e il danno materiale all’emblema dell’espansionismo in Ucraina, è il ragionamento dei falchi a Mosca, non possono restare impuniti. E del resto, anche il nuovo comando dell’offensiva, appena affidato al generale di ferro Serghei Surovikin, potrebbe spingere per un cambio di passo a suon di bombe. Così, alla vigilia della riunione del Consiglio di sicurezza convocata dallo zar, il dilemma sembra ruotare non intorno all’eventualità di una risposta militare russa, ma alle sue tempistiche e proporzioni.

Gli scenari

Il primo obiettivo potrebbe essere simmetrico: un’infrastruttura strategica per un’altra. Già dopo la ritirata delle sue truppe dalla regione di Kharkiv, Mosca aveva iniziato a colpire a ripetizione centrali elettriche, dighe e altri impianti civili. Attacchi che hanno lasciato intere regioni al buio o, come nel caso di Kryvyj Rih, la città natale del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, hanno rischiato di provocare un disastro idrogeologico. Ora frequenza e intensità di questi raid potrebbero crescere con l’obiettivo di stremare la popolazione, colpendo anche fonti di riscaldamento in vista dell’inverno, o magari prendendo di mira porti e stazioni ferroviarie. L’altra strada della vendetta conduce ai simboli: centri del potere, palazzi, monumenti. Ma il Cremlino, in questo caso, faticherebbe a mantenere la retorica dell’obiettivo militare.

Un punto interrogativo sempre più pesante riguarda poi le armi da utilizzare. Ancor più che le quattro regioni appena annesse e ancora da "stabilizzare", come ha ammesso lo stesso Putin, l’attacco alla Crimea è considerato dalla Russia come un attacco alla sua integrità territoriale. Ecco che per i falchi, dal leader ceceno Ramzan Kadyrov all’oligarca e mente del gruppo Wagner, Evgenij Prigozhin, sarebbe quindi legittimo il ricorso ad armi nucleari tattiche. Pressioni che, secondo i servizi ucraini, starebbero crescendo parallelamente alle minacce di destabilizzazione interna per forzare la mano allo zar. In ogni caso, si sottolinea negli ambienti pro-Cremlino, la "punizione a Kiev" non è stata né si attende immediata. Intanto, per capire bene cosa colpire e come farlo; e poi, per allontanare i sospetti di un’operazione dei servizi russi "come pretesto per un attacco alle infrastrutture civili dell’Ucraina": una prudenza che servirebbe a legittimarsi davanti ai Paesi amici, dalla Cina all’India, sempre più insofferenti di fronte a una guerra che non accenna a finire.