La mossa a pochi giorni dall’inizio delle Olimpiadi invernali di Pechino 2022
La Corte penale internazionale dell’Aia (Cpi) metta le autorità cinesi sotto inchiesta per “genocidio”. Lo chiedono a gran voce gli uiguri di Turchia e lo fanno a pochi giorni dalle Olimpiadi invernali in Cina, quando tutti i riflettori saranno puntati su Pechino.
La minoranza musulmana chiama ‘Turkestan orientale’, la regione cinese dello Xinjang da cui è originaria, da anni denuncia abusi da parte della Cina. “L’accusa è che le autorità cinesi stiano cercando di distruggere la popolazione uigura nella sua totalità o in parte attraverso arresti, torture, uccisioni e stupri, cercando di eradicare il gruppo nella sua interezza” ha detto Rodney Dixon, avvocato britannico, a Istanbul per una conferenza dove erano presenti legali turchi e decine tra gli almeno 50mila uiguri che la Turchia ospita.
Insieme a un gruppo di avvocati, nel 2020 Dixon ha presentato le prove alla base della richiesta di aprire un’inchiesta contro la Cina presso la corte dell’Aia per conto del governo in esilio del Turkestan orientale. “Un sostegno a livello internazionale darebbe la spinta necessaria per aprire il caso” ha sostenuto Dixon ricordando che “il Parlamento francese e britannico hanno già approvato risoluzioni che considerano queste azioni genocidio e anche le autorità italiane potrebbero fare lo stesso”.
"La Turchia in passato aveva espresso forte sostegno a questa causa ma ora non parla più in maniera così netta" ha ricordato Dixon auspicando un supporto delle autorità di Ankara. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan fu tra i pochi leader politici nel 2009 a definire “genocidio” le azioni del governo cinese contro gli uiguri ma le sue critiche si sono fatte ultimamente sempre più rare, parallelamente alla costruzione di una solida cooperazione commerciale con Pechino che ha portato l’interscambio tra Turchia e Cina ad aumentare sempre di più.
Turcofoni e musulmani, gli uiguri hanno trovato in Turchia un Paese culturalmente vicino dove possono esprimere liberamente la propria identità come dimostrato da molte realtà culturali ed enogastronomiche da loro gestite presenti a Istanbul: le loro rivendicazioni non trovano ostacolo e spesso vengono organizzate manifestazioni di protesta contro la Cina, sempre permesse dalle autorità turche.
"Vorremmo che Ankara cancellasse l’accordo di estradizione con Pechino o almeno che non venisse ratificato" dice Nureddin Izbasar, presidente dell’Osservatorio sui Diritti Umani nel Turkestan orientale - che ha organizzato l’evento - descrivendo ottime relazioni con quasi tutto il mondo politico turco, compreso il governo, ma denunciando un patto tra Turchia e Cina che potrebbe cambiare il destino della diaspora.
Da oltre un anno il parlamento turco è infatti chiamato a ratificare un accordo con Pechino sull’estradizione di alcuni uiguri considerati terroristi dalle autorità cinesi. Sebbene la maggioranza dell’assemblea parlamentare turca non sembri intenzionata a portare avanti la ratifica, gli uiguri presenti alla conferenza hanno denunciato deportazioni di alcuni di loro in Paesi terzi - come il Tajikistan, l’Uzbekistan, il Kazakhstan e il Kirghizistan - che non presentano problemi a richieste di estradizione da parte delle autorità cinesi. “Non vedo mio marito da 6 mesi" denuncia una donna uigura che non vuole rivelare il suo nome temendo ritorsioni. I figli di 5 e 6 anni tengono in mano una foto del papà, arrestato in Marocco dove era fuggito temendo di venire deportato in Cina dalla Turchia. “Non so se e quando potrò rivederlo” dice trattenendo le lacrime, "non vorrei che finisse come i miei genitori che sono stati messi in campi di rieducazione in Cina dopo la nostra fuga qui in Turchia quasi 10 anni fa”.