Estero

Al via il processo in appello di Julian Assange

Battaglia cruciale dinanzi alla giustizia britannica. Il cofondatore rischia l’estradizione negli Stati Uniti. Ci vorranno mesi per la sentenza.

La compagna di Assange Stella Morris e altri sostenitore fuori dall’aula oggi a Londra
(Keystone)
27 ottobre 2021
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Londra – Battaglia cruciale al via sulla vita e il destino di Julian Assange. Dinanzi all’Alta Corte di Londra è iniziato il processo d’appello sul ricorso presentato dalle autorità di Washington contro la decisione di primo grado con cui la giustizia britannica ha negato a gennaio a sorpresa l’estradizione del cofondatore di WikiLeaks agli Usa. Un processo articolato in due udienze cui seguirà l’attesa del verdetto destinata a protrarsi fra 6 e 8 settimane: prima della parola fine, e salvo successive code di fronte alla Corte Suprema del Regno o a quelle internazionali.

Fuori dall’aula si sono dati appuntamento anche stavolta diversi attivisti, decisi a contestare l’iniziativa giudiziaria americana e a invocare che il 50enne australiano - detenuto in attesa d’una decisione nel carcere di massima sicurezza inglese di Belmarsh dal 2019, pur non avendo più alcuna pendenza penale sull’isola, dopo i 7 trascorsi da rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra - non venga consegnato oltre Oceano e sia liberato al più presto. Appello condiviso fra gli altri da associazioni come Amnesty International, dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu e dal Consiglio d’Europa; e a maggior ragione - come sottolineano i suoi avvocati, la sua compagna Stella Morris, suo padre, i collaboratori di WikiLeaks - alla luce sinistra di quanto emerso di recente sui piani che la Cia avrebbe predisposto nel 2017, sotto la presidenza Trump e la guida di Mike Pompeo, per rapire e forse assassinare Julian quando ancora si trovava nell’ambasciata ecuadoriana.

Fino a 175 anni di carcere

Se estradato, Assange rischia una pena monstre fino a 175 anni di carcere negli Usa, dove gli si dà la caccia da oltre 10 anni dopo la montagna d’imbarazzanti documenti segreti diffusi a milioni fin dal 2010 da WikiLeaks attraverso alcune delle più prestigiose testate giornalistiche al mondo: documenti fra cui spiccano i file del Pentagono trafugati dall’ex militare Chelsea Manning e contenenti rivelazioni su crimini di guerra commessi in Afghanistan e Iraq.

Washington accusa l’ex primula rossa australiana di presunta complicità con Manning in reati di pirateria informatica; imputazione a cui ha poi aggiunto a scoppio ritardato addirittura quella di spionaggio (violazione dello Espionage Act), contestata per la prima volta nella storia in un caso di rivelazione mediatica di documenti e nei riguardi di un civile, per di più straniero.

Dubbi sulla credibilità del perito

La giudice britannica di primo grado Vanessa Baraister aveva negato l’estradizione, pur rifiutando di accogliere le argomentazioni della difesa contro la legittimità di un’inchiesta denunciata da più parti come una vendetta politica e una minaccia alla libertà d’informazione, sulla base di una perizia medica che ipotizzava rischi di suicidio per Assange: date le sue condizioni psico-fisiche e il trattamento giudiziario e carcerario a cui potrebbe andare incontro.

Ma il team legale che rappresenta il governo Usa è riuscito a ottenere il diritto a presentare appello sollevando dubbi sulla credibilità non della perizia, bensì del perito: preso di mira per aver nascosto alla giudice il fatto - di cui era venuto a conoscenza riservatamente in veste di medico - che Assange avesse avuto due figli dalla Morris durante il periodo trascorso nella sede diplomatica di Quito.

La ‘garanzia’

Nell’udienza odierna, gli avvocati al servizio degli inquirenti americani hanno tentato inoltre di rassicurare la corte d’appello sul trattamento che potrà essere riservato ad Assange, escludendone la reclusione in regime d’isolamento in una prigione federale: garanzia bollata peraltro come poco credibile dai difensori del ricercato, sulla base dei precedenti.

Assente in aula, il fondatore di Wikileaks - che frattanto ha visto cadere in questi anni anche le controverse accuse parallele di stupro sollevate contro di lui in Svezia, quando già si trovava nel mirino degli States, e accantonate infine dalla stessa magistratura di Stoccolma - ha seguito il procedimento in video da Belmarsh. Mentre la compagna Stella Morris, rivolgendosi ai sostenitori fuori dal tribunale, ha lanciato nuovi allarmi sulla sua salute: “Sono molto preoccupata - ha detto - l’ho visto sabato ed è dimagrito, provato. Spero davvero che la corte metta fine a questo incubo”.

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