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I talebani: ‘Non ci sarà nessuna democrazia’

Scontri e tre morti a Jalalabad durante una manifestazione. Caos profughi: la Svizzera chiude le porte, mentre Londra dice: ‘Ne accoglieremo 20mila’

Il rimpatrio su un aereo militare spagnolo (Keystone)
18 agosto 2021
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Kabul – Il nuovo corso talebano in Afghanistan non parte con i migliori auspici, nonostante le rassicurazioni di una transizione pacifica e senza vendette. Le prime proteste contro il movimento fondamentalista sono state represse nel sangue, e i nuovi padroni del Paese hanno riproposto la loro furia iconoclasta, distruggendo la statua di un eroe sciita: lo stesso trattamento riservato 20 anni fa ai Buddha di Bamyan.

A Kabul gli studenti coranici lavorano per formare un nuovo governo sulla carta ’inclusivo’. Ma dalla capitale arrivano anche messaggi meno concilianti: “Non ci sarà alcuna democrazia”. La violenza dei talebani è esplosa a Jalalabad, un centinaio di chilometri a est di Kabul. Una città simbolo, perché cuore delle celebrazioni annuali dell’indipendenza dell’Afghanistan dall’impero britannico, nel 1919.

Proprio l’orgoglio nazionalista della popolazione ha portato in strada un fiume di persone che hanno rimosso una bandiera talebana da una rotonda, sostituendola con quella afgana. Scatenando la reazione dei fondamentalisti, che hanno aperto il fuoco. Almeno tre i morti e tredici feriti, ma secondo altri report le vittime sarebbero molte di più. La protesta delle bandiere è andata in scena anche in altre città come Kunar e Khost. È ancora presto per capire se si diffonderà a livello nazionale, ma i giornalisti sul terreno hanno registrato che i talebani appaiono tesi, dopo l’entusiasmo iniziale scaturito dalla presa di Kabul.


Un guerriero talebano con la sua bandiera (Keystone)

Abbattuta una statua

L’intolleranza degli insorti non si è abbattuta solo sulle persone, ma anche sui simboli. La statua di Abdul Ali Mazari, un leader politico che rappresentava la comunità sciita hazara, ucciso negli anni '90 proprio dai miliziani del mullah Omar, è stata decapitata con una granata, secondo le testimonianze di alcuni residenti. Lo scempio è avvenuto a Bamiyan, città in cui i talebani nel 2001 distrussero due magnifiche e gigantesche statue di Buddha scolpite nella roccia. Un’azione di cui non pentirono mai.

In questa situazione migliaia di afghani, preoccupati da un ritorno dell’oscurantismo, ogni giorno affollano l’aeroporto di Kabul per fuggire dal Paese. E si contano almeno 17 feriti nella calca per tentare di salire sul primo aereo disponibile. In città intanto regna una relativa calma, e dal traffico in strada sembra che nulla sia cambiato. Ma è solo apparenza, perché ci sono molte meno donne in giro. E quelle poche che ancora escono, indossano veli o niqab. La paura è tanta, soprattutto, tra le più istruite, che negli ultimi anni hanno faticato per ritagliarsi una vita autonoma, anche nel lavoro.

I diritti delle donne

I talebani, finora, hanno assicurato che rispetteranno i loro diritti, ma all’interno della sharia. Cosa questo comporterà, nei fatti, è ancora tutto da verificare. La comunità internazionale ne è preoccupata, tanto che Ue, Usa e Gran Bretagna hanno rinnovato l’appello alle nuove autorità perché “garantiscano la loro protezione”. I talebani, tuttavia, in questo momento hanno un’altra priorità. Ossia chiudere il prima possibile la partita del governo. In questa fase prevale il pragmatismo, dopo la promessa fatta di fronte ai media di tutto il mondo di un esecutivo “inclusivo e islamico”.

Così un alto comandante del movimento ha incontrato un personaggio simbolo del vecchio establishment, l’ex presidente Hamid Karzai, per tentare di trovare un accordo tra le varie anime del Paese. Ma i fondamentalisti hanno già chiarito che, di fatto, cambierà tutto. “Non ci sarà alcun sistema democratico perché non ha alcuna base nel nostro Paese”, ha spiegato un alto esponente dei talebani Waheedullah Hashimi, vicino al cerchio ristretto. “Non discuteremo quale tipo di sistema politico dovremmo applicare in Afghanistan perché è chiaro. È la legge della sharia e basta”. E il grande sconfitto, l’ex presidente Ashraf Ghani, è tornato a parlare dal suo rifugio negli Emirati Arabi evocando un suo ritorno in Afghanistan, anche se impazza la polemica sui 160 milioni di dollari che avrebbe portato via con sé sottraendoli alle casse statali.


La protesta anti-talebana a Bruxelles (Keystone)

Caso profughi

La Svizzera non accoglierà contingenti di cittadini afghani in fuga, così ha deciso ieri il Consiglio Federale. Berna valuterà tuttavia richieste di ammissione individuali, mentre è stato ribadito l’impegno a portare in Svizzera i collaboratori locali e i loro famigliari, nonché i cittadini svizzeri ancora bloccati nel Paese.

Le domande d’asilo presentate da cittadini afghani in Svizzera sono esaminate dalla Segreteria di Stato della migrazione in procedura ordinaria. Chi è in pericolo continua comunque a ottenere l’asilo o l’ammissione provvisoria, ha spiegato Karin Keller-Sutter, capo del Dipartimento federale di giustizia e polizia: ‘Attualmente ci sono 20'000 afghani nella Confederazione e 15'000 sono in fase di richiesta d’asilo, ma solo una minoranza ha uno status chiaro’, ha detto.

L’impegno della Confederazione pare relativo, vista la grave situazione nel Paese asiatico. Anche per questo la città di Ginevra, sede della Croce Rossa Internazionale, si dice favorevole ad accogliere rifugiati afgani in pericolo e chiede alla Confederazione di istituire immediatamente una procedura facilitata che permetta loro di beneficiare in un primo tempo di un visto umanitario.

I Paesi si muovono in ordine sparso, mentre la Francia ha già detto "no" e l’Italia nicchia, Londra ha già dato la disponibilità per 5mila afghani, che dovrebbero diventare 20mila in futuro. Il primo Paese a ospitare rifugiati, circa duemila, è stato l’Uganda, ma si stanno muovendo anche gli Stati Uniti, nel mirino per la gestione del ritiro delle truppe. Ieri si è fatto sentire l’ex presidente Donald Trump, che ha attaccato Joe Biden: ‘Dovevano portare via la gente da lì. Immaginatevi l’esercito che va a casa e lascia tutta quella gente, questo si chiama l’agnello che va al macello”. In realtà gli Usa stanno riportando a casa migliaia di persone a casa a gran ritmo, senza - al momento – nessuna ostilità da parte dei talebani.

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