Il racconto degli agenti arrivati a Capitol Hill apre l'inchiesta sui fatti del 6 gennaio
"È questa l'America, è questo il nostro Paese?". Le parole di sgomento e di rabbia di Daniel Hodges, agente della polizia metropolitana di Washington, si alzano nell'aula del Congresso dove sono partiti i lavori della commissione d'inchiesta sui fatti del 6 gennaio scorso.
È il giorno in cui la folla dei sostenitori di Donald Trump assaltò Capitol Hill provocando cinque morti e diversi feriti, in quello che qualcuno ha definito un vero e proprio tentativo di colpo di stato. Un golpe col quale si sarebbe dovuto ribaltare l'esito delle elezioni presidenziali vinte da Joe Biden.
L'agente Hodges vide la morte in faccia, rischiando di rimanere schiacciato dal portone di ingresso del palazzo mentre tentava di fermare l'orda dei rivoltosi provenienti da un comizio del tycoon. Ora a stento trattiene le lacrime, come gli altri suoi colleghi che quel giorno erano in prima linea a difesa delle istituzioni democratiche e che con le loro drammatiche testimonianze hanno fatto rivivere il terrore di quella giornata: "Pensavamo di morire, ci urlavano contro 'ci ha mandati Trump' ", ricordano, spiegando tra i singhiozzi delle ferite fisiche e psicologiche ancora oggi difficili da lenire.
Nei corridoi del Capitol un silenzio surreale, rotto solo dai tanti uomini della Us Capitol Police che seguono la diretta dell'audizione sui propri smartphone e sui televisori a circuito chiuso. "Volevano fermare la democrazia, scopriremo la verità", promettono i due presidenti della commissione fortemente voluta dalla speaker della Camera Nancy Pelosi, l'acerrima nemica di Trump che con i poteri conferitigli dall'essere la terza carica dello Stato ha già permesso che l'ex presidente fosse sottoposto a due processi per impeachment.
Alcuni poliziotti prima della deposizione in aula (Keystone)
Mentre adesso va in scena il duello finale tra i due non più giovanissimi protagonisti della politica americana degli ultimi anni, lei 81 anni, lui 75. In gioco non tanto le elezioni di metà mandato del prossimo anno, in cui verrà rinnovata gran parte del Congresso, ma piuttosto le presidenziali del 2024 che potrebbero vedere ancora una volta candidato il tycoon. Stretto però tra l'inchiesta avviata in Congresso e quelle della magistratura. "Il 6 gennaio c'è stato un attacco coordinato al fine di far deragliare il processo democratico e il pacifico trasferimento dei poteri", ha sottolineato il presidente della commissione Bennie Thompson, spiegando come i rivoltosi "arrivarono pericolosamente a raggiungere quello che era il loro obiettivo: evitare la certificazione della vittoria di Joe Biden nell'aula del Senato".
Parlano anche Adam Kinzinger e Liz Cheney, gli unici due repubblicani che contravvenendo agli ordini del partito partecipano ai lavori, da giorni bersagliati e oggetto di ostracismo per le loro dure critiche a Trump. "Non possiamo lasciare che la violenza del 6 gennaio scorso resti non indagata", si è difesa la figlia dell'ex vicepresidente Dick Cheney: "Dobbiamo sapere cosa è accaduto davvero, e capire anche cosa è accaduto quel giorno alla Casa Bianca, minuto dopo minuto, ogni telefonata, ogni conversazione, ogni riunione, prima, durante e dopo l'attacco".
E mentre il dipartimento di giustizia potrebbe dare il via libera alla testimonianza anche di ex rappresentanti e funzionari dell'amministrazione Trump, il Washington Post con un editoriale del board ha lanciato l'appello ad ascoltare in commissione Ivanka Trump, il marito Jared Kushner, l'ex capo di gabinetto della Casa Bianca Mark Meadows e tutte le persone vicine all'ex presidente che potrebbero fornire particolari utili alle indagini.