Ungheria

Orbán, egemonia autoritaria

L’8 aprile si terranno in Ungheria le elezioni politiche nazionali. Ma c’è un solo favorito: Fidesz, il partito del primo ministro.

Ce l'hanno tutti con me! (Memoriale alle vittime dell'occupazione tedesca, Budapest, Szabadság tér, 2014)
((Wikimedia))
29 marzo 2018
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Domenica 8 aprile si vota in Ungheria, ma il risultato appare scontato. Fidesz, il partito del primo ministro Viktor Orbán, e i suoi alleati cristiano-democratici sono sopra al 30% negli ultimi sondaggi. Quanto basta per rimanere al governo, grazie anche a un sistema elettorale che penalizza i partiti di minoranza e a un recente cambiamento dei distretti elettorali. Il secondo partito (attorno al 20%) è l’ancor più antisemita e xenofobo Jobbik. Il centrosinistra è fermo al 10%. Il resto sono frattaglie e – spiega il ‘Guardian’ – finti partiti di opposizione creati da Fidesz. L’autocrazia sembra dunque destinata a perdurare, tenuta insieme dalla solita malta: la paura dello straniero.

Lo spaventapasseri

“Vogliono prendere il nostro Paese. Vogliono costringerci a cederlo a stranieri provenienti da continenti che non rispettano la nostra cultura, le nostre leggi e il nostro modo di vivere”. È questo il ritornello ripetuto da Orbán. Il soggetto implicito sono i poteri globali, dai burocrati di Bruxelles al magnate di origini ungheresi George Soros (che al giovane Orbán aveva pagato gli studi a Oxford, vai a far del bene). Tutti colpevoli di supportare liberali e migranti, corrompendo la fiera nazione magiara. È quello che gli anglosassoni chiamano straw man argument, l’argomento dello spaventapasseri: assegni agli oppositori posizioni e obiettivi inventati, e poi ti scagli contro quel fantoccio che tu stesso hai creato. Ne è buon esempio l’ultimo sondaggio che il governo ha inviato a tutti gli ungheresi, chiedendo loro se fossero d’accordo con il Piano Soros per accogliere migranti, smantellare recinzioni di frontiera e “diminuire l’importanza di lingua e cultura ungheresi”. Piano mai esistito. Ma Orbán non se la prende solo col filantropo 87enne (al quale si deve la Central European University, una delle eccellenze accademiche che da tempo Fidesz cerca di chiudere). Di mezzo ci vanno anche organizzazioni pro-migranti e altri movimenti di dissenso civile, ai quali il Fondo di Cooperazione Nazionale impone controlli vessatori e nega sussidi, mentre quelli provenienti dall’estero sono tassati al 25%. E poi ci sono gli immigrati stessi, demonizzati e umiliati. E dire che sono pochissimi, l’1,5% degli abitanti. La crisi del 2015 è scomparsa: i rifugiati quell’anno erano oltre 70mila (ma ne furono accolti solo 425), mentre nel 2017 sono scesi a poco più di tremila. Insomma, gli elettori di Fidesz “non hanno mai visto un migrante – perché non ne abbiamo –. Hanno paura dell’ignoto” spiega a ‘Euronews’ Robert Laszlo, analista di Political Capital, principale think tank di Budapest.

Epica nazionalista

Quella che Orbán ha costruito in quasi otto anni di potere è una nuova forma di egemonia. Ha cambiato la Costituzione per subordinare i giudici all’esecutivo, e sceglierseli. Ha colonizzato i media pubblici e ha inasprito le leggi che limitano l’operato di quelli indipendenti. Ha creato un’oligarchia imprenditoriale fedele dirottando fondi europei, come ha spiegato il ‘New York Times’. Ma soprattutto ha (ri)dato agli ungheresi un’identità: bianca, cristiana, nazionalista. E vittimista, perché nel racconto orbaniano la nazione è sempre la vergine minacciata dall’aquila straniera, oggi come ieri. Libri di testo, monumenti e spettacoli teatrali (ancora popolarissimi in Ungheria) ora rivalutano perfino il regime di Miklós Horty – che avviò le deportazioni di ebrei nel 1941 – e negano qualsiasi responsabilità della popolazione nell’Olocausto, che solo qui fece centinaia di migliaia di morti. Gli atenei vengono sottomessi a ‘cancellieri’ di regime ed è anche nata una nuova Università del servizio pubblico, per formare i nuovi yesmen. Intanto l’Europa, che allargandosi non aveva previsto questa retromarcia della democrazia, resta a guardare.

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