La legislazione britannica sulla migrazione sta funzionando
Una pietra definitiva sopra la Brexit. Che sia piaciuta o meno, dopo quasi sette anni è probabilmente arrivato il momento di cambiare racconto: c’è stata e ora si va avanti. Anche perché il Regno Unito sta tornando. Non necessariamente più forte di prima. Diverso. Ma ritorna, in Europa e in altre parti del mondo.
Il fenomeno più significativo di questa nuova stagione britannica è forse l’immigrazione. Per anni si è ritenuto che l’uscita dall’Unione europea avrebbe diminuito significativamente il numero di persone in arrivo nel Paese per ragioni di lavoro o di studio. È stato vero per gli studenti e per i lavoratori a bassa qualificazione provenienti dalla Ue, ma nel complesso l’immigrazione ha registrato un boom: un saldo netto di più di mezzo milione l’anno scorso. È solo cambiata.
Il nuovo sistema di immigrazione è stato introdotto all’inizio del 2021 ed è stato definito «la più grande riorganizzazione in mezzo secolo». L’obiettivo è attrarre lavoratori più qualificati che in passato, attraverso un sistema di sponsorizzazione (con scarsa burocrazia) con il quale le imprese e il settore pubblico possono assumere uno straniero pagandolo almeno un salario di 25.600 sterline. In questo modo, tendono ad arrivare lavoratori con competenze medio-alte (in senso allargato: anche chef, baristi e macellai per dire).
Il piuttosto disastrato Nhs, il servizio sanitario nazionale, ne sta beneficiando più di altri settori: nel 2022, i permessi d’immigrazione emessi per lavoratori esteri nella Sanità sono stati quasi 77mila: infermieri e infermiere, medici, ostetriche, eccetera. Si prevede che anche in futuro arriveranno 250-300mila immigrati qualificati all’anno. C’è un serio problema d’immigrazione sul Canale della Manica, da dove arrivano profughi senza permesso, e questo crea problemi politici e umanitari. Ma la legislazione post-Brexit sulla migrazione sta funzionando. L’Ocse ha stabilito che dal 2019 il Regno Unito ha fatto un balzo nella sua lista «attrazione dei talenti» più di ogni altro Paese e ora è tra i primi dieci, meglio degli Stati Uniti.
Come ha ricordato Luigi Ippolito sul Corriere della Sera, l’arrivo di lavoratori con ogni probabilità eviterà al Paese di entrare in recessione tecnica quest’anno, smentendo le previsioni che davano un calo del Pil dell’1,4% (sarà dello 0,2%, si calcola ora). E poi, dall’anno prossimo, la crescita dell’economia dovrebbe essere attorno al 2% all’anno fino al 2027. Vero che una crescita complessiva dovuta all’immigrazione non è immediatamente una crescita pro capite: se non interrotta, però, è un’onda nel medio periodo che fa alzare tutte le barche.
Purtroppo per gli studenti della Ue entrare in una scuola o in un’università britannica è diventato molto costoso, il loro calo è stato però più che compensato dall’arrivo di giovani da altre parti del mondo: nell’anno 2021-22, gli studenti Ue in Gran Bretagna erano 120.140, quelli dal resto del mondo 559.825. Il cosiddetto Golden Triangle – Londra, Oxford, Cambridge – continua a essere uno dei luoghi della terra dove la ricerca scientifica è più concentrata e ha i maggiori rapporti benefici con il mondo del business, come si è visto nello sviluppo dei vaccini anti-Covid.
L’economia britannica, insomma, soffre, come molte altre, ma non va a fondo. Qualcuno aveva previsto, pochi mesi fa, che l’inflazione avrebbe superato il 20%: in realtà è alta ma appena sopra al 10%.
La settimana scorsa, il primo ministro Rishi Sunak è riuscito a fare passare in parlamento l’accordo che aveva raggiunto giorni prima con Bruxelles sulle regole commerciali da applicare al confine tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord. Era il contenzioso aperto, sin dai tempi di Boris Johnson, con la Ue sulla definizione del regime post-Brexit. Ora, i rapporti tra le due sponde della Manica possono migliorare. Con benefici economici per Londra come per gli europei. In più, le scelte comuni sul sostegno all’Ucraina aggredita dalla Russia hanno migliorato le relazioni nel continente. E la possibile uscita della Scozia dal Regno Unito si allontana, dopo le dimissioni della leader separatista Nicola Sturgeon.
Nel frattempo, Londra sta facendo uno sforzo massiccio per aumentare la propria presenza in Asia, in particolare nell’Indo-Pacifico. L’iniziativa più conosciuta è quella geopolitica Aukus, per costruire sottomarini a propulsione nucleare assieme a Stati Uniti e Australia. E per limitare l’espansione cinese. Il progetto porterà business alle imprese britanniche. Come, d’altra parte, l’accordo siglato con Giappone e Italia per la realizzazione della nuova generazione di aerei da combattimento.
La spinta britannica di maggior rilievo nella regione, però, è la richiesta avanzata da Londra di entrare nel Cptpp, cioè il successore della Trans-Pacific Partnership, oggi formato da undici Paesi, tra i quali Giappone, Canada, Australia, Vietnam, Cile, Singapore. Si tratta di un accordo di libero scambio voluto inizialmente dagli Stati Uniti, che poi con Donald Trump si sono ritirati. Domanda d’ingresso è stata avanzata anche da Cina e Taiwan, le quali rischiano però di autoescludersi per incompatibilità reciproca. La richiesta d’ingresso di Londra, invece, dovrebbe vedere la luce verde in tempi brevi. I critici dicono che una potenza media, dal punto vista politico, militare ed economico, come la Gran Bretagna sta facendo il passo più lungo della gamba nella sua proiezione nell’Indo-Pacifico (è anche molto impegnata in India). Possibile che corra il rischio di diluire troppo le proprie forze. D’altra parte, però, questo era il senso della Brexit, almeno per chi ne aveva un’idea liberale: proiettarsi al di là della Ue.
Non che tutto vada bene, nel Regno. La City di Londra soffre e rischia una perdita di centralità a vantaggio soprattutto di New York. I servizi continuano a funzionare maluccio, a cominciare dall’Nhs. Le differenze regionali in termini di crescita economica e di benessere restano rilevanti, anche se alcune aree hanno fatto balzi notevoli uscendo dalla deindustrializzazione. E il sistema dei partiti è entrato in sofferenza seria dopo l’abbandono della Ue e solo ora è forse – forse – in via di guarigione. Ormai, però, la Brexit sembra storia del passato. Londra è di nuovo nel mondo.