Economia

Da una crisi bancaria all’altra, senza soluzione di continuità

Negli ultimi 25 anni banche centrali e governi sono intervenuti più volte per salvare il salvabile. Predisponendo il terreno per la bolla successiva

Molti esperti adesso invitano la Fed a frenare gli aumenti del costo del denaro
(Keystone)

La doccia e la vasca da bagno sono fonte d’ispirazione per i potenti della finanza. Il Cancelliere dello Scacchiere britannico Norman Lamont confessò di avere cantato sotto la doccia per la gioia quando, mentre era in carica, la sterlina fu espulsa dal Meccanismo di cambio europeo (grazie a George Soros), nel 1992. Il presidente della Federal Reserve americana Alan Greenspan raccontò invece di essere stato nella vasca da bagno quando scrisse il discorso nel quale parlò della «esuberanza irrazionale» dei mercati: era la fine del 1996 e già si sentivano gli scricchiolii del crac in arrivo delle dot-com.

Il problema arriva quando i ministri delle Finanze e i banchieri centrali escono dalla sala da bagno. Lamont perse il posto già l’anno dopo e Greenspan non fece nulla per rendere più razionale l’esuberanza delle Borse. È che ci siamo di nuovo. Di fronte alle crisi di Silicon Valley Bank (SVB), Signature Bank (SB) e Credit Suisse (CS) la scorsa settimana, è probabilmente il momento di domandarsi come sia possibile che da 25 anni si passi da una crisi finanziaria o bancaria a quella successiva senza quasi soluzione di continuità.

In questi giorni, molti commentatori si sono impossessati di Lev Tolstoj e Anna Karenina per parafrasare: «Ogni banca infelice è infelice a modo suo». Il che è vero, ma fino a un certo punto. È evidente che SVB ha avuto un problema di liquidità che CS non ha avuto. Ed è chiaro che la banca svizzera ha una storia di caos interno e di scandali che non ne fanno un modello: dal 2011, ha effettuato sette ristrutturazioni e l’ottava probabilmente in arrivo potrebbe farne uno spezzatino. Ed è naturale che a ogni diversa infelicità le autorità somministrino medicine diverse. Ma se la malattia fosse un po’ la stessa? Solo che si manifesta con sintomi diversi a seconda del modello di vita dell’infelice del momento?

Forse possiamo escludere da un elenco di crisi finanziarie recenti quelle dei Paesi asiatici e della Russia, nel 1997 e nel 1998: anche se, pure in quei casi, si erano create bolle. Ma l’avvertimento di Greenspan su una certa follia nei mercati, al quale egli stesso non diede seguito operativamente, è probabilmente l’inizio della malattia. Nonostante l’esuberanza irrazionale delle Borse, la Fed mantenne i tassi d’interesse bassi nel 1997 e nel 1998. Lo stesso Greenspan forse si pentì dell’allarme lanciato e valutò non negativamente i valori di Borsa di molte dot-com (startup tecnologiche legate a Internet) che avevano toccato multipli enormi a fronte di utili molto dubbi. Nel 2000 iniziò la correzione di mercato che finì nel 2002 con la perdita di cinquemila miliardi di dollari di capitalizzazione rispetto al picco precedente. Il Nasdaq, che era salito del 400%, crollò del 78 per cento.

Ricette 

Ma cosa si fa quando una bolla scoppia? Beh, se ne crea un’altra. Bisogna pur dare fiducia agli investitori: quale modo migliore del mettere denaro abbondante nel sistema? I tassi d’interesse americani, che all’inizio del 2001 erano al 6%, scesero all’1,75% a fine anno e all’1% alla metà del 2002. Per frenare l’inflazione, la Fed alzò i tassi nel 2004-2006 ma, vedendo la possibilità che la bolla dei mutui scoppiasse, dall’autunno 2007 iniziò a tagliarli di nuovo: del 2,5% in un anno. Bolla che, ovviamente, scoppiò. E, dopo la crisi dell’ottobre 2008, i tassi scesero a 0%-0,25 per cento. Da allora sono saliti fino al 2,50% del 2018 per poi tornare rapidamente a 0%-0,25% nel marzo 2020 in conseguenza dello scoppio della pandemia. Solo dalla scorsa primavera la Fed ha iniziato, con ritardo, ad alzarli: fino a oggi di oltre il 4 per cento. Ora, molti esperti la invitano a frenare gli aumenti del costo del denaro a fronte della nuova crisi bancaria (la Bce, la settimana scorsa, è andata avanti per la sua strada e li ha aumentati dello 0,50%).

In parallelo, è successo che a ogni crisi le autorità monetarie e finanziarie sono intervenute per salvare le banche (o i governi) in difficoltà: negli Stati Uniti ma anche in Europa durante la crisi del debito 2010-2012.

Questo super attivismo delle banche centrali e dei governi a un certo punto è diventato necessario, se non si voleva — ad esempio nella crisi dei subprime in America e in Europa — che il sistema finanziario saltasse. E che l’euro si spezzasse.

Il problema è che ogni bailout, salvataggio, predispone il terreno per il bailout successivo. Le grandi iniezioni di liquidità che avvengono dopo una crisi — enormi negli ultimi anni di tassi a zero e di Quantitative Easing — tendono a creare nuove bolle che poi scoppiano. E i salvataggi di banche creano quel moral hazard in conseguenza del quale esse prendono rischi eccessivi nella convinzione che, comunque, prima o poi verranno salvate: finora valeva per le banche Too Big To Fail, adesso anche per quelle medie e teoricamente non pericolose per l’intero sistema, come la Silicon Valley Bank.

Crisi del mercato distorto

Anni di tassi d’interesse a zero, inoltre, hanno distorto i meccanismi di mercato che, invece di orientarsi a scelte d’investimento basate sulle opportunità dell’economia, hanno investito dove potevano perché c’era in circolazione denaro gratis irrinunciabile.

Oltre all’infelicità propria di ogni banca, insomma, c’è un’infelicità generale: si passa dall’esuberanza delle bolle all’hangover post-party dal quale qualcuno esce male. Si può fare qualcosa per spezzare questo circolo vizioso? Nei giorni scorsi, Ken Griffin, il fondatore dell’hedge fund Citadel Advisors, ha detto al Financial Times che le autorità americane non avrebbero dovuto intervenire nel caso SVB. «Si suppone che gli Usa siano un’economia capitalista e questa si sta disgregando davanti ai nostri occhi — ha affermato —. Con il bailout totale dei depositi da parte del governo, c’è stata una perdita di disciplina finanziaria». Difficile stabilire cosa sarebbe successo se la banca di Santa Clara fosse stata lasciata a sé stessa.

Certamente, c’è la necessità di riportare i mercati a funzionare: come stiamo vedendo, periodi troppo lunghi di denaro gratis lasciano ferite nelle banche quando i tassi tornano a salire. Queste non sono crisi del mercato, sono crisi del mercato distorto. E occorre ridurre il moral hazard alimentato dai salvataggi che offuscano l’amigdala, il meccanismo del cervello (non solo dei banchieri) che regola la paura. È questa, forse, la malattia del Ventunesimo Secolo nella finanza: la presunzione di controllare i rischi ed eliminare la paura.

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