Le Giornate del cinema svizzero affrontano il tema del denaro con quattro film e un incontro del ciclo ‘Fare Cinema’
Perché il cinema svizzero sa mettere in scena così bene i sentimenti più intimi, le paure recondite, i desideri inconfessabili, in lungometraggi, corti, e documentari sperimentali e quando poi si trova a parlare di soldi vacilla? Il denaro, la ricchezza, il patrimonio, sono argomenti di cui no, nella patria dei tesori nascosti non è elegante parlare né a tavola né su un tram, tutt’al più su una seggiovia a due, ma figuriamoci su un grande schermo. Siamo ricchi, uno dei Paesi più benestanti al mondo, ma per non attirare troppo l’attenzione, “Chi? Io? Naah…”, o per una buona dose di calvinismo che volenti o nolenti ci scorre nelle vene, preferiamo non dirlo ad alta voce. Non dirlo del tutto. Anche perché pare che da dove venga tutto quest’oro non è qualcosa di cui andar fieri. (Ecco perché poi l’espiazione umanitaria, ma non divaghiamo).
I soldi nel nostro Paese non si mettono sotto al materasso, ma dentro ai caveau. Veri e propri tesori elvetici. E questo ‘Schweizer Schätze/Trésors helvétiques’ è anche il titolo del primo appuntamento di “Fare Cinema”, la serie di discussioni che durante queste giornate invitano registi, produttori, attori, insieme a tutto il pubblico di Soletta ad affrontare temi attuali della creazione cinematografica svizzera. Voluti e moderati dal direttore artistico, Niccolò Castelli, siamo al terzo anno.
Un incontro che doveva inizialmente chiamarsi “Money money!” ma poi si è ingentilito, che ha riunito ieri quattro documentari di produzione elvetica che dicono le cose come stanno senza troppi giri di parole (e questo ci piace).
Il felice ‘Wir Erben’ (alla Reithalle domani) già alla Semaine de la Critique di Locarno, in cui una coppia composta da due ex deputati di sinistra decide di lasciare la Svizzera delusa dalle politiche intraprese dal Paese e acquistare un grande terreno agricolo in Francia. Ora che i due stanno invecchiando, però, si interrogano sul futuro della loro proprietà e dei loro beni e il figlio Simon Baumann decide, camera alla mano, di affrontare il tema con loro e il fratello. Dove finiscono i desideri dei padri e iniziano quelli dei figli? Siamo tutti così incensurati nell’animo come crediamo?
Il nostro ingombrante vicino di casa è invece il protagonista di ‘Architektur des Glücks’ di Michele Cirigliano e Anton von Bredow. Che se ne fanno i campionesi del mastodontico Casinò costruito dall’archistar di casa nostra, che pare star lì oggi a simboleggiare un gigantesco fallimento? Per più di un secolo il Comune ha approfittato golosamente del Casinò, a prezzo però di una dipendenza sociale ed economica dal gioco d’azzardo. Il paese vive così oggi una crisi esistenziale e si chiede… che ne sarà di questo edificio di Mario Botta che “sembra un centro commerciale”?
Abbiamo parlato di caveau? Parliamo allora di Banca Nazionale (“là dove le cose iniziano” come ci racconta la produttrice del film), e andiamoci a sbattere il naso con ‘Unser Geld’, documentario di Hercli Bundi ieri alla Reithalle. Forse quello più rappresentativo della serie. È nato dall’immaginazione umana, ma funziona solo perché ci crediamo, di cosa parliamo? Del denaro! Nel corso dei secoli, il nostro sistema finanziario è diventato così complesso che persino gli addetti ai lavori riescono (e, attenzione attenzione, possono) a spiegarlo solo in parte. Un rapinatore di banche, un esperto di crittografia e dipendenti di istituzioni finanziarie cercano comunque di demistificarlo. Ci riusciranno? Non sempre. Ma il banchiere che racconta la parabola del gioco come se fosse un prete ci porta a riflettere, per paradosso, sul fatto che “i soldi non sono creati da Dio ma dagli umani”.
Ultimo della serie il film visto in apertura delle Giornate mercoledì, ‘Die Hinterlassenschaft des Bruno Stefanini’ dell’eccentrico regista zurighese Thomas Haemmerli. Un documentario che ci porta a scoprire la figura di un miliardario figlio di immigrati che ha avuto una carriera alquanto barocca. Non manca l’umorismo nel descrivere questa figura controversa che per passione si dà alle collezioni più disparate, dalle opere d’arte ai carri armati, dai rifugi antiatomici agli indumenti intimi dell’imperatrice Sissi. Con il desiderio di farne un museo. Ma tutti sti tesori, in realtà, che fine faranno?
Di questi documentari hanno parlato – in un salone del “Genossenschaft Kreuz” pieno di pubblico chiacchierante sparso in grandi tavole da colazione tra gipfel e cappuccini – Stephanie Baumann, la protagonista di ‘Wir Erben’, Susanne Guggenberger, produttrice di ‘Architektur’ e ‘Unser Geld’ e Thomas Hämmerli, regista di ‘Bruno Stefanini’. Molto interessante la visione soprattutto della produttrice, che da austriaca si è sovente scontrata con il tabù tutto elvetico e la difficoltà nell’affrontarlo, ma anche con la severità dei protagonisti verso il considerarsi o meno ereditieri di una fortuna, e la discrezione.
Hämmerli invece ha dato conto di quella Svizzera che immaginiamo (o che i non svizzeri immaginano), così diversa da quella che in realtà è. Non è paesana, anche se le metafore sono spesso del mondo agricolo, e soprattutto, sa nascondere, e può farlo, i suoi segreti.
Per Stephanie Baumann è un’ingiustizia il fatto che non si parli mai, nemmeno all’interno delle aziende, di guadagno e ricorda come le esperienze passate le abbiano fatto aprire gli occhi sulla differenza salariale tra uomo e donna. Il film di suo figlio, sempre per la protagonista, “non parla di soldi ma di valori forse non così enormi ma emotivi”. Per quanto riguarda il rapporto con le leggi di successione, “si parla sempre dei super ricchi ma poi anche noi ci siamo resi conto di avere le nostre responsabilità, siamo esseri umani”.
È stato infine anche citato il controllo (Grande fratello scostati) da parte dall’alto rispetto al prendere parola e descrivere il mondo della finanza, usando tra l’altro un paragone paradossale, “siamo continuamente osservati da chi sta in alto nel nostro lavoro di registi, così come fanno gli animali della foresta con gli uomini”.
E quindi, ancora una volta ieri Soletta ha stupito sovvertendo certezze, insieme al limpido sole decisamente inaspettato dopo settimane di grigio.