laR+ Spettacoli

‘Un live podcast’, fra cronaca nera e tragedia teatrale

Lo spettacolo del collettivo Divano Project in scena il 24 e 25 gennaio al Foce di Lugano riflette su vizi e virtù del formato più in voga al momento

Un podcast in scena
(Paola Verdoliva)
23 gennaio 2025
|

Il podcast si è imposto in tempi recenti come uno dei formati più in voga nel campo dell'informazione e dell'intrattenimento. Dalla cronaca nera alla divulgazione storica, passando per i temi di società e costume più disparati, qualsiasi tema diviene potenzialmente argomento per una narrazione individuale o un dialogo a più voci. Il tutto slegato dall'esigenza prettamente radiofonica della trasmissione dal vivo: l'ascoltatore gestisce liberamente il suo tempo di fruizione e gli strumenti, dall'autoradio in mezzo al traffico allo smartphone sui mezzi pubblici. Il divario fra il momento della produzione e quello dell'ascolto lascia quindi spazio a una pianificazione e costruzione ragionata dei contenuti, a una scrittura della storia concepita per essere accattivante e catturare l'attenzione dell'ascoltatore. In definitiva, a una drammatizzazione dei fatti, soprattutto per i podcast di true crime, nei quali la narrazione diventa essa stessa protagonista in modo a volte preponderante rispetto alla cronaca: dal fatto in sé si passa al racconto di esso, che diventa a volte teatrale. Riflessioni su cui si fonda ‘Un live podcast’, prodotto dal collettivo teatrale italo-svizzero Divano Project e già vincitore del bando Teatrinscena 2024, concorso di testi teatrali inediti in lingua italiana rivolto alle giovani compagnie della Svizzera italiana e della Lombardia. Lo spettacolo andrà in scena il 24 e 25 gennaio al Teatro Foce di Lugano. Ne abbiamo parlato con Marzio Gandola, autore del testo alla cui scrittura ha partecipato anche Margherita Fusi Fontana, per la regia di Giammarco Pignatiello.

«Il mondo dei podcast è esploso negli ultimi anni – afferma Gandola –: col cambiamento delle tecnologie utilizzate il mondo dell’informazione è passato da una situazione più vicina ai telegiornali a una più vicina ai podcast, dalla cronaca nera si è passati ai podcast true crime, in cui chiaramente abbiamo una forte presenza dell'autorialità, di un autore che costruisce la narrazione della storia, spesso con un'ottima ricostruzione, molto forte, interessante e coinvolgente. Che è quello che avviene anche nel mondo teatrale, dove ci si prende la libertà di costruire un punto di vista».

Come nasce la scelta di affrontare ‘dal vivo’ un genere che invece ha nell’ascolto differito, on demand, la sua peculiarità?

Lo spettacolo è un lavoro che è nato in gruppo, iniziando a raccontarci delle storie. E il podcast, che è un mezzo di comunicazione che oggi, nel bene o nel male, va molto di moda, rifletteva un po’ la nostra esigenza di confrontarsi con il modo di raccontare le storie, su come renderle magari da un lato più interessanti ma con il rischio anche di ‘tradirle’. E quindi abbiamo pensato, dato che questo era il punto di partenza dello spettacolo, di portarlo a teatro. Il contesto è quello di un gruppo che si ritrova per creare contenuti per gli episodi di un podcast: da qui la storia si articola, con i personaggi che si confrontano con la responsabilità che hanno e con le possibilità che dà questo medium. E questo porta il personaggio principale a confrontarsi a sua volta con le proprie vicende personali e con il modo di raccontare il suo punto di vista: fino a scoprire che gli eventi che lo vedono protagonista, legati a episodi di violenza, non sono come lui li aveva interpretati fino a quel momento, e da qui sorge una crisi e quindi una presa di coscienza diversa.

Nello spettacolo i protagonisti preparano un podcast sull’Otello. Come mai è stata scelta proprio questa tematica?

Essendo il podcast un mezzo utile in questo caso al nostro scopo ma in ogni caso estraneo al mondo del teatro, è nata la volontà di confrontarsi con qualcosa di più classico, di più fortemente teatrale come meccanismo e come tematica. E in questo caso abbiamo scelto l'Otello proprio perché, tra tutte le grandi tragedie di Shakespeare, forse è quella che si avvicina di più alle tematiche che affrontiamo: è la tragedia della manipolazione della verità, delle storie e di alcuni gesti, che mostra come da essa possa derivare una violenza reale, che riporta in una dinamica anche fortemente teatrale gli attori in scena. E questo ha portato il nostro lavoro, che all'inizio era fortemente incentrato sulla questione della manipolazione dell'informazione e della costruzione di una storia, a confrontarsi anche con la tematica della violenza.

Come nasce il collettivo Divano Project, e a cosa si deve un nome così singolare?

Il nome è nato in modo del tutto casuale, dalla volontà un po’ grottesca di mettere insieme un elemento come ‘project’, che denota un collettivo, dà una certa idea di serietà, con un termine in totale contrasto. Siamo un gruppo nato poco più di un anno fa, proveniente da due accademie di Milano: io, che mi occupo della drammaturgia, e il regista Giammarco Pignatiello abbiamo frequentato la Civica Scuola Paolo Grassi, gli attori Alessandra Curia, Maria Canino, Gionata Soncini e Michele Correra l'Accademia dei Filodrammatici. Abbiamo messo insieme questo collettivo inizialmente come gruppo di amici e di persone che si stimano per i progetti artistici che vogliono portare avanti. Questo è il nostro primo progetto, e stiamo chiaramente provando a proporne altri.