Andare in tv a prendersi a pugni, l’eventualità più ecumenica di uno show che dettò la prima regola della tv spazzatura: l’assenza di regole
“Questa volta Jerry Springer ha esagerato. Alcune delle stazioni televisive che hanno portato il suo talk show in vetta agli ascolti si rifiutano di trasmettere un episodio intitolato ‘Ho sposato una cavalla’. La puntata programmata per il prossimo venerdì descrive i cinque anni di matrimonio di un uomo con l’animale, ma ospiterà anche la storia d’amore di una donna con il suo cane”. Questo scriveva il Cincinnati Post nel maggio del 1998 commentando la reazione delle stazioni locali all’ennesima provocazione dell’ex sindaco democratico della città, passato dalla carica pubblica al telegiornalismo, per divenire infine ‘The Godfather of Reality’, il padrino di un programma andato in onda sulla Nbc dal 1991 al 2018, nel quale la zoofilia non era il peggiore dei mali.
In ‘Jerry Springer: Fights, Camera, Action’, due episodi pregni di contenuti (‘pregni’ e ‘contenuti’ paiono eufemismi, ma tutta la storia torna utile a capire il funzionamento dell’odierna macchina televisiva), Netflix riassume l’epopea del ‘Jerry Springer Show’ di Gerald Norman Springer detto Jerry (1944-2023), reso celebre e ricco sfondato dal vero ‘genio del male’ della trasmissione, il produttore Richard Dominick.
Una laurea in scienze politiche, un dottorato in legge, prima di darsi alla tv il britannico naturalizzato statunitense Jerry Springer lavora come pubblicitario alla campagna di Robert F. Kennedy; dopo la morte di questi, trova lavoro in uno studio legale di Cincinnati, viene eletto nel consiglio cittadino nel 1971 e tre anni più tardi si dimette per aver pagato una prostituta. Nonostante questo, dal 1977 al 1978 è eletto sindaco. Nel 1982 la sua carriera politica subisce un nuovo stop per aver pagato una prestazione sessuale con un assegno; nel 2000, da aspirante Presidente degli Stati Uniti ritirerà la propria candidatura una volta constatato che la sua immagine è definitivamente compromessa dal programma che porta il suo nome.
La storia dello Springer televisivo inizia a metà anni Ottanta a Cincinnati, quando viene assunto da un’affiliata della Nbc come esperto di politica. La buona conduzione gli frutta pure un Emmy Award. Il Jerry Springer Show debutta nel settembre del 1991 con divagazioni entro i limiti della carrambata (“dopo trent’anni tizio è qui!”, e vai di lacrime). L’intento dichiarato è “voglio che dopo aver guardato lo show gli spettatori possano dire di avere imparato qualcosa sulla vita che prima ignoravano, senza che io li abbia ostacolati”, ma il 1991 è già saturo di ricongiungimenti familiari e gli ascolti di Oprah Winfrey sono un miraggio, soprattutto per uno show come quello di Springer, nel quale il pubblico viene trascinato di peso negli studi perché non interessato a parteciparvi. Regredito da diurno a notturno, sceso nel gradimento sino al rischio di cancellazione, al capezzale del programma viene chiamato Dominick, un passato nei tabloid a titolare di tostapane posseduti dal diavolo e altre storie, uno il cui unico intento è sempre stato quello di fare scandalo. Anzi, di più: “Se potessi giustiziare qualcuno in diretta, lo farei volentieri”, sostiene ancora oggi.
Il produttore Richard Dominick
“La mia fama mi precedeva”, dice Dominick nel film. Prima del Jerry Springer Show, il produttore scriveva titoli sensazionalistici di questo tenore: “Uomo a due teste che canta”, “Un pollo infetto lo morde, a un contadino spuntano le piume”, “Parapsicologo si taglia i capelli senza forbici”, “Insegnante di scuola licenziato per aver mangiato una scrivania” e “Nano di un circo ingoiato dallo sciacquone”, “Elefante affamato uccide un clown vestito da pennuto” e “Lampada posseduta da Elvis canta ‘Burning Love’”.
“La vita è già dura, la gente si alza dal letto col mal di schiena e non riesce a pagare le bollette. Se leggono ‘Elvis rapito dagli alieni’, la cosa li distrae dal proprio mondo per catapultarli in un altro. Volevo fare lo stesso con Springer”. Il produttore convince l’anchorman che voleva diventare Presidente a fare un salto nel buio: il Jerry Springer Show va in onda alle due del mattino tra nudisti, uomini col pannolino, maggiorate che si spruzzano panna sui seni e adultere e adulteri che si confessano al coniuge, con l’intento di attirare l’attenzione su chi fa zapping; il resto ce lo mette Springer, vestito di tutto punto in mezzo a una gabbia di matti, con distaccato umorismo. Per l’imbarazzo dei direttori di rete, i giornali titolano “Jerry Springer trova l’oro nel trash”, che è la certificazione di un successo redditizio per tutti: lo show viene spostato nella finestra diurna e triplica gli ascolti, fino a superare il gradimento di Oprah Winfrey. Il tutto grazie anche a un pool di autori reclutati tra il mondo dei tabloid e il bar sotto casa, e grazie all’assenza di regole: figlio di sopravvissuti all’Olocausto, Springer arriva a invitare in trasmissione membri del Ku Klux Klan e nostalgici del führer, aprendo alla rissa tra suprematisti e afroamericani, tra neonazisti e mondo ebraico.
Adulterio, infedeltà, nudità, triangoli e altri accoppiamenti geometrici a più lati, esibizionismo, omofobia, necrofilia, incesto, pedofilia, pornografia, razzismo, feticismo, deformità fisiche. È un sunto incompleto di quanto la Nbc ha sdoganato per anni in pieno giorno. Sul palco dello show, persone di ogni età e dal livello d’istruzione non oltre il medio, meglio se medio-basso, meglio ancora se molto basso, reclutata dagli autori perché venissero a lavare in tv i panni sporchi che di norma, almeno fino all’avvento dei social, si lavavano in casa.
Con la rissa come obiettivo minimo di ogni puntata, nonostante le proteste di piazza e le interpellanze politiche, in nome della libertà artistica e del profitto, il Jerry Springer Show ha sfornato circa 3’800 episodi girati tra Chicago e Stamford, tirando dritto quando Springer ha intrattenuto rapporti sessuali con ospiti e pure quando ci è scappato il morto. Ma il morto non ci è scappato in trasmissione e lo show ha potuto addossare ogni colpa al libero arbitrio del partecipante, sedotto (alberghi di lusso, viaggi in limousine) e a volte abbandonato, ma sempre debitamente caricato a pallettoni dagli autori, per un risultato almeno pirotecnico (ne andava del posto di lavoro).
Nel 2019, Jerry Springer disse che il suo show era una ribellione nei confronti dell’élite. “Pregate per me perché se io andrò in Paradiso, ci andrete tutti” e “Ho annientato la nostra cultura”, così come la risposta a Larry King (“Una cosa di cui mi vergogno? Il mio show”) paiono più autoironia che autocritica, e l’elezione a peggior programma televisivo della storia americana una specie di medaglia da appuntarsi in petto. Comunque sia, cellule di Jerry Springer sono ancora oggi ovunque in tv.
L’appassionato di comunicazione (o di psichiatria) potrebbe trovare interessante affiancare alla visione di ‘Jerry Springer: Fights, Camera, Action’ la serie ‘Processi mediatici’, documento meno recente di Netflix ma non meno utile a farsi un’idea sul genere umano quando le telecamere si accendono. Si racconta, tra gli altri, di un surrogato dello Springer intitolato ‘Jenny Jones Show’, dal nome della presentatrice le cui scelte, così come nel caso di Springer, portarono a conseguenze tali da doverne risponderne in tribunale. C’è anche il caso di un governatore corrotto che tenta di ingraziarsi i media e arriva a partecipare a ‘Celebrity Apprentice’, un vecchio format del due volte Presidente degli Stati Uniti, la cui America pare oggi il suo Jerry Springer Show (basta solo cambiare il nome e il cognome).