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Amarante: il Lac hub della musica classica

Intervista al nuovo direttore del settore Musica, fra prossima stagione e protagonisti della scena locale

Lugano arte e cutura
(Ti-Press)
22 maggio 2024
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Andrea Amarante è a Lugano da qualche settimana. Arrivato da Lucerna, dove era coordinatore artistico e tour manager per la Luzerner Sinfonieorchester, il nuovo direttore del settore Musica del Lac – sulla denominazione diremo a breve – ha ricordato sorridendo come «nel salutarmi gli ex colleghi mi dicevano che in Ticino avrei trovato il sole». Ma se in questo primo mese il brutto tempo gli ha impedito di fare escursioni e passeggiate (Amarante è appassionato di trekking) e costretto i suoi gatti a stare al chiuso, la musica non è mancata: si tratta non solo di allestire la stagione ’25-26 – la prossima, che verrà presentata a breve, è ancora opera di Etienne Reymond –, ma anche di incontrare i protagonisti della scena musicale locale.

Quello che avverrà a breve non è infatti un semplice avvicendamento alla direzione di LuganoMusica: la stagione di musica classica, come già avvenuto con la stagione teatrale di Lugano in scena, sarà infatti incorporata nel centro culturale, diventando appunto “Settore musica”.

Amarante, al di là del cambio di nome, che cosa cambia?

Il mio mandato è, di fatto, proseguire l’attività di LuganoMusica fino a oggi: una programmazione di concerti sinfonici e di musica da camera di alto livello. Grandi orchestre, grandi direttori, grandi solisti – in pratica, quello che ho fatto negli ultimi vent’anni della mia vita. Ma c’è un aspetto che trovo affascinante e unico: entrare a far parte della vita musica della città di Lugano lavorando all’interno del Lac.

LuganoMusica, infatti, è una fondazione che utilizza gli spazi del Lac per le proprie attività, ovviamente in stretta collaborazione con gli altri operatori del centro culturale. Essere il direttore artistico del Settore musica del Lac per me significa prendere in considerazione tutta la scena musicale: chi fa musica, chi la produce, chi fruisce la musica e anche chi desidera venire a contatto con la musica.

In concreto?

In concreto, a fianco della programmazione dei concerti, essere all’interno del Lac significa partecipare attivamente alla missione del centro culturale che Michel Gagnon sta portando avanti da anni e valutare se e come quel concerto si può integrare nell’offerta culturale del Lac.

Quindi anche dire qualche no?

Quindi essere in grado di dire di no perché magari quel concerto eccezionale che io vorrei avere non rientra nelle necessità di Lugano. Perché in quel periodo l’Orchestra della Svizzera italiana ha un progetto importante, perché il Lac si sta preparando a una intensa settimana di attività teatrale e così via. Ma anche essere in grado di dire di sì, discutendo con gli altri, guardando quali opportunità possiamo creare, guardando cosa succede non solo a Lugano ma anche nel resto della Svizzera italiana. Creare una rete di comunicazione, svolgere se vogliamo la funzione di un ‘hub’ che raccoglie le informazioni e le esigenze del territorio, espone le proprie e cerca una coordinazione a livello a livello locale.

Parliamo di un ruolo di coordinamento?

La mia idea è portare a Lugano il discorso che si sta facendo in tutta la Svizzera, in particolar modo nella Svizzera tedesca dalla quale arrivo: una seria autocritica su quella che è la politica culturale dei diversi promotori musicali svizzeri.

Alcuni anni fa c’è stato un dibattito sul fatto che in Svizzera si produce tanto, perché c’è la disponibilità economica, ma si produce male nel senso che non ci si parla perché gli operatori tengono segreti i loro progetti. Così capita di avere a distanza di pochi mesi le stesse sinfonie o di avere, prima con un’orchestra e poi con l’altra, lo stesso solista ospite. E questo è un fallimento della politica culturale degli operatori: se ci fosse un dialogo questi errori non si verificherebbero, utilizzeremmo meglio le risorse – che in buona parte sono denaro pubblico – e agli spettatori offriremmo un’offerta migliore.

Lei prima ha parlato di ‘hub’: questa rete avrebbe quindi un centro che sarebbe Lugano. Immagino che non tutti gli operatori sarebbero d’accordo.

Il Lac è la sala da concerto più grande del cantone e il luogo dove tanti operatori del territorio propongono le proprie attività. Mi sembra abbastanza scontato che qualcuno debba prendere l’iniziativa di far parlare tra di loro i vari operatori e il Lac, rispetto al Kkl, ha il grande vantaggio di essere un produttore e quindi già coinvolge artisti e operatori del territorio, c’è già questo dialogo.

Questa almeno è la mia visione, è quello che mi piacerebbe riuscire a realizzare.

Tornando al Settore musica del Lac, che tipo di repertorio avremo? Solitamente ci si limita alla musica europea che va dal Cinque-Seicento alla fine dell’Ottocento, con qualche rara incursione nel Novecento.

Mi sono sempre posto questa domanda: perché facciamo musica?

Non vengo da una famiglia di musicisti, ma ho studiato musica per praticamente tutta la mia vita. Mi sono diplomato in pianoforte, ho suonato, ho collaborato con cantanti di opera lirica… la mia formazione è estremamente classica, potrei cantarle arie di Verdi o di Puccini – ma mi chiedo per quale pubblico dovrei farlo?

Sono consapevole che una programmazione come quella di LuganoMusica è destinata a una élite, nel senso che si rivolge a un determinato gruppo di persone che condivide il rituale dell’andare a un concerto ascoltando le opere di quelli che sono cristallizzati come “grandi compositori”. Ed è giusto offrire loro una programmazione all’altezza, invitando grandi interpreti, perché così facendo raduniamo una comunità sfidando quel senso di isolamento sempre più presente nella nostra società.

La musica può radunare una comunità che condivide non solo dei rituali ma anche degli ideali. Ma sono convinto che questo non possa riguardare solo chi indossa l’abito scuro, si siede in un determinato modo applaudendo in momenti prestabiliti del concerto.

Il problema degli applausi per i neofiti…

Sì, si percepisce questa paura nella persona che entra per la prima volta in una sala da concerto. Quando posso applaudire? Quando non posso?

È chiaro che noi veniamo da una tradizione e questa tradizione la consideriamo immutabile. Ma ci dimentichiamo che questa tradizione ci arriva dall'inizio del secolo scorso. Eric Hobsbawm ha scritto questo libro fantastico che si intitola ‘L’invenzione della tradizione’: sembra una contraddizione, ma se si vanno a cercare quelle che oggi noi consideriamo le più grandi e intoccabili tradizioni – tipo il fatto che ci si siede in sala, entra il direttore e si resta in silenzio, non si può parlare, non si può fare niente – sono cose che sono state inventate da Mahler quando era direttore principale dell'opera di Vienna. Prima in teatro non era necessario comportarsi così.

Quindi cosa fare con chi non ha familiarità con questa tradizione?

Il compito del Lac non è quello di insegnare al pubblico quanto è bello Brahms o quanto è bello Schönberg: una istituzione culturale non è una scuola, non deve insegnare ma deve offrire una serie di occasioni per ampliare i propri orizzonti, per costituirsi come comunità, per discutere, per dialogare, per confrontarsi. E questo non può valere solo per la musica classica, ma anche per il jazz, per la musica corale, per la lirica, per tutto questo genere di attività musicali.

Come raggiungere questo pubblico?

È un aspetto sul quale ho già iniziato a parlare con Carmelo (Rifici, direttore artistico Arti performative del Lac, ndr): come unire i nostri due pubblici. Penso ad esempio a tutti gli esperimenti di musica elettronica ed elettroacustica che sono stati fatti da LuganoMusica in questi anni –che devo dire ho trovato solo a Lugano e che considero molto interessanti – che credo possano interessare molto anche il pubblico del teatro.

Parallelamente c’è il discorso della Classica nei quartieri. È una iniziativa che LuganoMusica ha avviato da qualche anno e che seguo con particolare interesse perché secondo me è un importante punto di contatto con le persone che normalmente non verrebbero al Lac. Un’altra possibilità è ospitare al Lac – anche nel Teatro Studio o nella Hall – giovani artisti del territorio può aiutarci ad avvicinare un pubblico nuovo.

Quindi la stagione musicale del Lac non sarà solo di ospitalità, ma coinvolgerà il territorio?

Da quando sono arrivato a Lugano in tanti mi hanno contattato invitandomi a concerti e performance. E io sono affamato di queste cose: è stato uno dei grandi insegnamenti che ho avuto dal Covid. Come coordinatore artistico dell’Orchestra sinfonica di Lucerna ci siamo, come tutti, ritrovati bloccati per due anni. Per fortuna avevamo appena costruito una ‘Orchesterhaus’, in pratica una sala prove che si è trasformata, appena i divieti ce lo hanno permesso, in un palcoscenico. Non per l’orchestra, che aveva il problema delle distanze da mantenere, ma per i musicisti freelance del luogo che, grazie al sostegno di una fondazione, abbiamo contattato organizzando una cinquantina di concerti in due mesi. Sono così venuto a conoscenza di una ricchezza di cui non mi sarei mai accorto e voglio fare tesoro di questa lezione anche a Lugano.

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