laR+ L’intervista

‘The Code’: in viaggio con Nemo, all’inferno e ritorno

È la Svizzera all’Eurovision di Malmö, ma anche ‘un’occasione per dare voce alla comunità LGBTQIA+’. Ieri lo showcase Rsi: poco prima, l'incontro

Classe 1999, da Bienne. Il 9 maggio la semifinale, cercando un posto in finale, due giorni dopo
(Keystone)
9 aprile 2024
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Di lì a poche ore, il pubblico dello Studio 2 della Rsi ascolterà ‘The Code’ dal vivo. Il resto d’Europa, ma pure del mondo, potrebbe averlo già fatto su YouTube, dove la canzone che rappresenterà la Svizzera all’Eurovision Song Contest (Esc) di Malmö, in Svezia, è in bella vista da un mese. Tanto manca, giorno più giorno meno, alla fase conclusiva della manifestazione, quando Nemo – classe 1999, da Bienne – proverà a ritagliarsi un posto in finale (il 9 maggio, nella seconda delle due eliminatorie) e, se finale sarà (l’11 maggio), il più in alto possibile.

‘The Code’, tre minuti e pochi secondi che non passano inosservati, parla “del viaggio che ho iniziato con la consapevolezza di non essere né un uomo né una donna. Ritrovarmi è stato un processo lungo e difficile”, dichiarava Nemo in fase di presentazione della canzone. “Ma non c’è niente di meglio della libertà che ho ottenuto realizzando di essere non-binario”. Quel concentrato di lirica, rap e pop, produttivamente impeccabile, è il più fedele degli autoritratti e – c’è da giurarci, pensando alla resa sul palco svedese – dal grande risultato scenico.

Nemo è polistrumentista (violino, pianoforte e batteria) sin dalla tenera età; a 13 anni ottiene una parte nel musical di successo ‘Ich war noch niemals in New York’ e per un anno gira per i teatri con la relativa compagnia. Nel 2016 tutti in Svizzera sanno chi è grazie all’esibizione, subito virale nel mondo rap, a Srf Virus (#Cypher). Seguono due Ep, che contengono i singoli ‘Ke Bock’, ‘Du’ e ‘Himalaya’. Poi, all’età di 18 anni, dopo averne già vinto uno, ecco altri quattro Swiss Music Awards tutti in una notte. Nel 2020 la svolta in lingua inglese, il ruolo anche solo autoriale e la scrittura che esplora l’identità di genere, la salute mentale e la ricerca del proprio posto nel mondo…

… e poi ‘The Code’: ce ne riassumi la genesi?

La canzone è stata creata, o ‘è accaduta’, dovrei dire, nel giugno dello scorso anno al songwriting camp dell’Esc, un posto in cui producer, autori e autrici di canzoni si ritrovano insieme. Pensavo di essere lì come songwriter per altri artisti, che è quello che ho fatto per tanto tempo negli ultimi anni. Alla prima session con Teya, che l’anno scorso fu in gara per l’Austria, l’ho guardata e le ho chiesto: “Ma se tu sei già andata all’Eurovision, noi per chi stiamo scrivendo?”. E lei: “Per te”. Ho capito solo allora di essere l’artista. Non avrei mai pensato un giorno di andare all’Esc, ma mi piace tentare cose nuove e ho detto “proviamoci, e vediamo come va”. È stata un’esperienza divertentissima, il giorno dopo ho lavorato con la convinzione di dover scrivere per me, ed è lì che è arrivata ‘The Code’.

Manca poco più di un mese alla semifinale: cosa passa per la mente di Nemo?

C’è del nervosismo, certo, ma anche tanto entusiasmo. Ci sono tante cose che mi aspettano. Intanto il rivedere gli altri artisti, alcuni li ho incontrati a Madrid. La Community dell’Eurovision è splendida, i fan sono incredibili, l’amore che ho sentito in Spagna credo diventerà ancora più grande a Malmö. Non vedo l’ora di salire sul palco e di cantare la canzone. È un brano profondamente significativo per me, emozionante. A volte mi chiedo se sarò in grado di reggere la performance, per quel che mi succede dentro ogni volta.

Mettersi completamente in una canzone può essere qualcosa di estremamente vulnerabile, so che la gente può guardare dentro di me senza filtri. Al tempo stesso, aprirsi agli altri è energia che fluisce, magari col rischio di sentirsi svuotare, ma appagante.

Cinque Swiss Music Award tornano utili per gestire la pressione o di fronte all’Eurovision Song Contest tutto si azzera?

Io credo che gli Swiss Music Awards non dicano nulla sul valore di un artista. Sono essenzialmente uno show; il riconoscimento può far piacere, ma allo stesso tempo non sono ciò per cui io faccio musica. È una bella cosa che esistano e che possano creare un buon ambiente per la scena musicale svizzera, per quanto non includa tutte le identità musicali e linguistiche svizzere.

“I went to hell and back”, canti in ‘The Code’. Puoi descriverci com’è andare all’inferno e com’è tornare?

L’inferno può essere l’intera esperienza del giungere a un coming out ed è la parte più solitaria e complessa: i pensieri nella mia testa, l’idea di essere o meno a mio agio nel condividerli con altre persone, nelle mie relazioni interpersonali, con la mia famiglia, i miei amici, per poi capire che condividere ha reso la cosa meno difficile. Ma gli up and down ci sono sempre e in tutto, nessuno che è stato all’inferno torna indietro una volta per tutte, la vita non è mai troppo lineare. Il mio ritorno, invece, è stato un riappropriarmi di me stesso, il sentirmi a mio agio con i vestiti che voglio indossare, il poter parlare di tutto senza paura e senza compromessi, che è forse la parte migliore.

“Se il mio corpo fosse una casa, la brucerei e mi costruirei un posto sicuro / Se il mio corpo fosse una notte, dormirei per aspettare che arrivi il giorno dopo / Se il mio corpo fosse una nuvola, galleggerei orgoglioso / Il cielo mi permetterebbe di essere come io sono”. ‘The Code’ arriva un anno dopo ‘This Body’, da cui sono tratti questi versi: a quanto sei, oggi, dall’essere quella nuvola?

In questo momento sì, mi sento fluttuare (ride, ndr). Sento che tutto sta accadendo, che tutto si sta spostando lentamente e in modo molto leggero verso Malmö…

L’Esc sarà anche un concorso di canzoni, ma quanto responsabilizza il dover rappresentare una nazione?

Onestamente, non sento la responsabilità di una nazione, il patriottismo è un concetto che non mi tocca in modo particolare. Nemmeno vorrei dire che mi sento a casa in ogni posto del mondo. ‘Casa’ è per me un’idea molto più fluida, sono le persone che amo e tante altre cose. Sento piuttosto il privilegio di rappresentare una parte della mia nazione la cui voce fatica a farsi sentire, come le tante persone non binarie o trans. E poi, in senso strettamente musicale, mi piace poter mostrare al mondo quello che facciamo in Svizzera, dove c’è tanto talento e qualcuno ancora si stupisce per una tale diversità musicale.

Il tuo primo ricordo televisivo legato all’Eurovision Song Contest?

La canzone ‘Satellite’ di Lena Meyer-Landrut: “Love, oh, love / I gotta tell you how I feel about you” (voce e schiocchi di dita, Nemo accenna il ritornello; correva l’anno 2010, ndr). Rimasi così colpito dalla sua energia e dalla sua presenza sul palco, la canzone era così ‘catchy’…

Danzavi davanti alla tv come Will Ferrer?

(Ride, ndr). Non ho ancora visto quel film! Me lo citano tutti! (‘Eurovision Song Contest: The Story of Fire Saga’, imperdibile e rispettosa satira sull’Esc voluta dall’attore americano, la cui moglie, svedese, ha trasformato il marito in un fan dell’Esc, ndr). Rispondo che lo guarderò una volta arrivato a Malmö. Lo farò dopo le prove, prima delle semifinali, ho bisogno di avere un momento speciale, so che il film lo merita.

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