laR+ Berlinale

Alcuni lampi di un lungo weekend berlinese di cinema

L'elegante ‘Hors du temps’ di Olivier Assayas, il dolente ‘Sterben’ di Matthias Glasner. ‘L’Empire’ di Bruno Dumont è cinema allo stato puro

Brandon Vlieghe in ‘L’Empire’
(Tessalit Productions)
18 febbraio 2024
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Un lungo weekend di cinema ha portato le sale berlinesi a riempirsi, anche la sfortunata zona di Potsdamer Platz, dove si sviluppa la parte fondamentale del Festival di Berlino o dove trova sede la Cineteca berlinese. Ma per il resto, la zona – un vero museo di architettura a cielo aperto per realizzare il quale erano stati chiamati grandi architetti di fama mondiale, tra cui David Chipperfield, Giorgio Grassi, Helmut Jahn, Hans Kollhoff, Rafael Moneo, Arata Isozaki, Renzo Piano e Richard Rogers – è un fallimento economico: cantieri ancora aperti, negozi vuoti o chiusi, un vero disastro dicono i berlinesi. D’altra parte, dopo gli splendori leggendari degli anni 30 e primi 40 del secolo scorso, la sconfitta in guerra della Germania nazista aveva reso il luogo terra di nessuno e il ridarle vita era un desiderio di tutti. Forse il modo è stato sbagliato. Chiuse anche decine di sale ben attrezzate e capienti.

La commedia umana

Ma è il tempo che cambia e forse la pandemia che ci ha investito all’apparire degli anni Venti di questo secolo ha contribuito molto a cambiare il mondo e il modo in cui viviamo e pensiamo. A ricordarcela ci ha pensato in Concorso un delicato ed elegante film francese, ‘Hors du temps’ di Olivier Assayas. Questi ci riporta all’aprile del 2020 per presentarci il regista Etienne (un bravissimo Vincent Macaigne) e suo fratello Paul (un Micha Lescot in bello spolvero), giornalista musicale, che si ritrovano a trascorrere insieme un periodo di isolamento nella loro casa d'infanzia, con le loro nuove compagne Morgane (la bella e interessante modella Nine d'Urso) e Carole (la comica Nora Hamzawi). Il quartetto dà vita a una commedia umana che sarebbe piaciuta a Éric Rohmer: i due fratelli si scontrano come bambini per i nonnulla, le loro compagne sopportano di venire dopo matrimoni ancora irrisolti, con figli e spose indimenticate: è il mondo borghese che trionfa nella sua nudità perdente. Il fratello regista ama comprare su amazon e soffre di una incredibile paura di essere contagiato; l’altro si diletta a cucinare. È il tempo degli psicologi online, delle passeggiate nella natura solitaria, fuori campo una voce ci racconta dei luoghi e delle persone che nel tempo li hanno abitati, e il raffronto è terrificante tra nonni e genitori che avevano radici e le coltivavano, e le generazioni venute dopo che le hanno espiantate. Di più: questo è un film in cui qualcuno dei protagonisti si siede e ascolta un podcast con Jean Renoir che parla di suo padre Pierre-Auguste Renoir. Quale regista svizzero o italiano si permetterebbe di indulgere in queste riflessioni civili e colte?


Carole Bethuel
Nine D’Urso e Vincent Macaigne in ‘Hors du Temps’

Il bene e il male

Sempre dalla Francia arriva lo straordinario e divertente ‘L’ Empire’ di un travolgente Bruno Dumont, un film che – alla maniera degli indimenticabili Monty Python – prende in giro le saghe di Guerre Stellari e simili. Innanzitutto, ci porta in un villaggio della Costa d’Opale affacciato sulla Manica, dove inaspettatamente si stanno scontrando nei corpi dei poveri abitanti le celesti forze del male e del bene, mentre due sciancati e stupidi poliziotti cercano di capire perché nel loro territorio decapitano le persone e perché nel cielo c’è un giro strano di navicelle spaziali da guerra. Il fatto è che nel paese è nato un bambino che le due forze eterne si contendono, guidate nello Spazio – quelle del male – da un re Belzébuth (un impagabile Fabrice Luchini) e da una regina (la brava Camille Cottin) quelle del bene, e guidate in Terra dal cattivo Jony (un incredibile Brandon Vlieghe) e dalla buona Jane (una brava Anamaria Vartolomei). Naturalmente, tra i due nasce una storia d’amore solo fisico per lui, carico di sentimenti per lei. Tra cavalcate dei cavalieri del male e spade spaziali dei buoni, il film si abbandona alla follia immaginifica con astronavi che sono cattedrali gotiche e palazzi che sono Versailles, fino all’epilogo armato che riserva per tutti una sorpresa inaspettata. Cinema allo stato puro e selvaggio per un film che fa male ai puristi seriali e diverte l’intelligenza di chi sa restare bambino.

Musica e morte

Di grande rilievo anche il tedesco ‘Sterben’ (Dying) del bravo Matthias Glasner, un film sulla morte, sulle morti, sul dolore e il suo allegro spreco, un film che per 180 minuti ti tiene stretto alla poltrona, un film che è un grande omaggio al cinema di Kieslowski, ma insieme di una incredibile forza di linguaggio originale. Di più, un film in cui l’amore viene sprecato e offeso, come succede troppo spesso nella realtà. Il regista ci parla della famiglia Lunies, che non è più una vera famiglia da molto tempo. Lo spiega l’atteggiamento di Lissy Lunies (una intensa Corinna Harfouch), ora sulla settantina, malata di cancro e diabete, che si ritrova felice quando il marito, a causa del Parkinson, viene portato in una casa di cura e muore. Al funerale non partecipano i due figli Tom (un corretto Lars Eidinger), direttore d’orchestra impegnato nell’esecuzione della composizione ‘Morire’ dell’amico Bernard, ed Ellen (la convincente Lilith Stangenberg), figlia e sorella inesistente e pericolosa, alcolizzata e priva di ogni morale. Si ritroveranno al funerale della madre, ma solo dopo tragici accadimenti. Glasner, con estrema freddezza, descrive il nostro mondo più intimo e nella musica ci fa ritrovare il peso di essere uomini, di avere emozioni.


Jakub Bejnarowicz / Port au Prince, Schwarzweiss, Senator
Lars Eidinger in ‘Sterben’

Ombre

Non ci ha pienamente convinto ‘In Liebe, Eure Hilde’, che Andreas Dresen ha dedicato alla figura martire dei nazisti Hilde Rake, conosciuta anche come Hilde Coppi (qui interpretata da una bravissima Liv Lisa Fries), dal cognome del marito Hans Coppi, anche lui ghigliottinato dai nazisti. Gli stessi nazisti che avevano arrestato la coppia perché appartenente al gruppo di resistenza ‘Schulze-Boysen-Harnack’, uno dei gruppi autonomi conosciuto come ‘Orchestra Rossa’. Ciò che colpisce nel film è la pulizia dei luoghi, anche le carceri, la generale gentilezza dei nazisti, l’uomo della Gestapo che l’arresta le dice di portarsi un maglioncino per coprirsi e la tratta delicatamente anche perché è incinta come sua moglie, e altri che le passano da mangiare, più protettori che assassini, anche se alla fine la condannano a morte. Non convince l'ingenuità di tutti e lo spreco di scene di sesso. Peccato, per un film che regala malinconia e che cerca di cancellare la rabbia, dicendo che anche i nazisti erano buoni e se decapitavano gli altri era perché non avevano capito che erano buoni. Non ha convinto neppure ‘Another End’ di Piero Messina, che con un bel cast composto da Gael García Bernal, Renate Reinsve, Bérénice Bejo, Olivia Williams e Pal Aron non riesce a fare a meno di annoiare con una storia di fantascienza risultata poco credibile, e che riducendosi a una basale storia d’amore non riesce a regalare nessuna emozione. Basta guardare l’incapacità a guidare un attore come Bernal per capire la pochezza della regia. Peccato.

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