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La straordinaria danza del Minotauro

Recitativi, musicali, tecnici e scenici: sono molti i punti di forza del Dürrenmatt di Saltamacchia e Picchetti (fino a lunedì 22 gennaio al Sociale)

Margherita Saltamacchia
(Chromophobia studio - Lione)
19 gennaio 2024
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Il ‘Minotauro’ di Friedrich Dürrenmatt non è un testo pensato per il teatro – e poco male, quello di Margherita Saltamacchia e Marzio Picchetti in scena al Teatro Sociale di Bellinzona fino a lunedì 22 gennaio non è certo il primo adattamento teatrale di un testo letterario. E poi quella di Dürrenmatt è, come viene riconosciuto già nel titolo, una ballata, cioè un testo che ha già una forte componente scenica. Solo che a ballare, nel ‘Minotauro’ di Dürrenmatt, è la lingua stessa e quindi parrebbe che ci siano solo due possibilità, per portarlo a teatro. La prima è fare qualcosa di diverso, lavorando sulle idee e sulle visioni di Dürrenmatt: raccontare, con un altro linguaggio, il mito di Teseo non dal punto di vista dell’eroe civilizzatore ma da quello del mostro vittima sia delle divinità sia dell’umanità. La seconda è restare fedeli alle parole di Dürrenmatt, portandole in scena più o meno intatte e accompagnandole da gesti teatrali. Due strade entrambe valide, ma per questo ‘Minotauro’ prodotto da LaTâche21 e Teatro Sociale di Bellinzona Margherita Saltamacchia (regista) e Marzio Picchetti (creative director e light designer) ne hanno cercata una terza – per restare al linguaggio mitologico, potremmo dire che son passati tra Scilla e Cariddi, non fosse che Dürrenmatt avrebbe raccontato anche questo mito dal punto di vista dei due mostri.

Quel che non t’aspetti

È il testo di Dürrenmatt – in lingua originale e nell’efficace traduzione di Donata Berra – ad accogliere il pubblico e ad accompagnarlo durante tutta la rappresentazione. Ma il capovolgimento narrativo proposto da Dürrenmatt è affidato anche e soprattutto a una raffinata coreografia e a un allestimento inatteso sul quale vale la pena spendere qualche parola.

Dürrenmatt propone, rispetto al mito tradizionale, un cambio di prospettiva e lo stesso fa Margherita Saltamacchia rispetto al teatro tradizionale: la scena si svolge in una platea svuotata dalle sedie, mentre il pubblico trova posto nei palchi e su una gradinata allestita sul palcoscenico, trasformando un classico “teatro all’italiana” in una struttura che ricorda il Piccolo Teatro Studio Melato di Milano. Spettatori e spettatrici vengono così accompagnati sul palco, ritrovandosi a guardare il sipario dalla parte “sbagliata”, mentre dai palchi ci si ritrova a picco sulla scena e a guardare il resto del pubblico sul palco.

Scena che peraltro è inizialmente nascosta da triangoli di luce resi opachi da una foschia artificiale. Il racconto inizia infatti con il risveglio del Minotauro nel labirinto “costruito con l’intento di proteggere l’essere mostruoso dagli uomini e gli uomini dall’essere”, un labirinto di specchi che offusca il confine tra sogno e veglia, tra realtà e immagine. La scenografia, essenziale e pulita, ricorda le scale di Escher: la complessità e l’impenetrabilità del labirinto è data dalle luci che riflettono e rimbalzano, indubbiamente uno dei punti di forza di questo spettacolo.

In questo spazio onirico – che però nel corso dello spettacolo diventerà sempre più concreto e reale, seguendo la presa di coscienza del protagonista – prende forma l’elaborata coreografia di Jess Gardolin. Tre i minotauri in scena (o forse è solo uno, il suo riflesso e il riflesso del riflesso) con i riusciti costumi di Ambra Schumacher: la stessa Gardolin, che al centro trasforma in movimento le parole di Dürrenmatt, affiancata dalle brave Margherita Saltamacchia e Anahì Traversi che invece recitano il testo del ‘Minotauro’, alternate a una voce registrata e sostenute dal paesaggio sonoro di Ali Salvioni, altro punto di forza dello spettacolo.

Altri punti di vista

Le tre minotaure raccontano, adattando stile e ritmo, lo spaesamento iniziale di fronte a immagini riflesse che sembrano reali, la scoperta di altri corpi che non sono il proprio, che non rispondono ai propri movimenti, l’eccitazione, la gioia, la rabbia; la lenta scoperta di cosa è la vita e cosa è la morte, di poter uccidere e forse di poter morire. Fino alla tragica conclusione: arriva Teseo travestito da minotauro e con sé porta la consapevolezza di non essere più solo e una spada che finirà nel petto del mostro – un epilogo che trova forma, in scena, con una notevole performance aerea di Jess Gardolin.

Il ‘Minotauro’ di Margherita Saltamacchia e Marzio Picchetti riesce a restituire, amalgamando con notevole bravura varie tecniche sceniche, la complessità e la forza del testo di Dürrenmatt, mostrando la possibilità e forse la necessità di guardare alla realtà – in questo caso quella di uno dei miti fondativi della cultura occidentale – da altri punti di vista.

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