Superato il piccolo shock di sentire i personaggi esprimersi nell'italiano del Settecento ma con i scarp de tennis ai piedi, brava Sonia Bergamasco

Ci sono parecchie certezze su ‘La locandiera’, il lavoro più celebre e celebrato di Carlo Goldoni: esordì nel dicembre 1752 al Teatro Sant’Angelo di Venezia, con l’attrice Maddalena Marliani-Raffi nel ruolo di Mirandolina. Era il primo lavoro teatrale che – almeno nel contesto italiano – non solo presentava una donna in veste di protagonista, ma dava a quest’umile cameriera (già in grado di gestire da sola la pensione ereditata dal babbo) una forza tale da poter mettere in riga nobili e aristocratici, rinunciando alle loro lusinghe e ai loro quattrini per scegliere infine quale marito il suo collega Fabrizio. Che il suo monologo finale (“L’autore ha previsto una mia uscita di scena drammatica e strappalacrime. Ma io mi rifiuto di recitare tutto ciò”) sia tra i primi esempi – stavolta forse in assoluto – di metateatro. Dal punto di vista sociale, la visione di Goldoni fu profondamente critica rispetto alle convenzioni imperanti al suo tempo (che vedevano di malocchio il saliscendi tra diversi e ben distinti ceti sociali). E lo stesso vale per l’atteggiamento piuttosto ostile dei nobili veneziani nei confronti del drammaturgo: da qui, molto probabilmente, la scelta di ambientare la commedia non nella sua Venezia, bensì a Firenze.
Poi iniziò quello che oggi chiamiamo gossip: Goldoni che non sa come chiudere il III atto e chiede aiuto agli attori – analfabeti – che sta dirigendo durante le prove; la Mariani-Raffi che s’inalbera poiché il buon Carlo, con la sua celebre riforma, cancella in pratica le maschere di Corallina e Colombina (moglie di Arlecchino) che lei era solita portare; pare che poi Goldoni l’abbia sedotta per farsi perdonare. Si dice infine che la grande Eleonora Duse, per calarsi nei panni della locandiera, abbia preteso – forte della sentenza del misogino Ripafratta “Detesto le donne sul palco!” – che venissero cancellate le parti di Ortensia e Dejanira, le due false dame di compagnia, in realtà mediocri attrici ingaggiate alla bisogna da uno spasimante di Mirandolina.
Il vostro cronista deve a questo punto confessare che c’è voluto un buon momento per adeguarsi all’effetto straniante voluto dal regista Antonio Latella e proposto al Lac le serate scorse: è stato un piccolo choc sentire i personaggi esprimersi nell’italiano del ’700 quando ai piedi calzavano i scarp de tennis care a Jannacci e un berretto da baseball sulla crapa, con l’interlocutore rispondere parimenti bardato (col maglione da sci) parlando di conti e marchesi. Abbiamo faticato ancor più di fronte a momenti dispotici che non sappiamo quanto sarebbero stati graditi a Goldoni: il lungo orgasmo simulato da Mirandolina (in pieno stile ‘Harry ti presento Sally’) e quest’ultima che balla su sfrenate note discomusic…
Abbiamo altresì colto una “metamorfosi delle scarpe”: Mirandolina si presenta leggiadra sgambettando a piedi nudi sul palco. Quando i pretendenti le fiatano sul collo, indossa degli stivaletti neri stile sadomaso. E quando infine è lei a chiedere la mano di Fabrizio, eccola danzare ancora a piedi nudi: ha ritrovato la libertà!
Bravi gli attori in quel va e vieni nella locanda, abili quanto affiatati a muoversi e rimbeccarsi in un vorticoso gioco di battute e smorfie, talvolta quasi da burlesque. Nel suo appassionato monologo finale, la protagonista esorta il pubblico: “Non dimenticatevi della Locandiera”. Certo, cara Sonia Bergamasco: la tua performance la ricorderemo a lungo!