La recensione

Osi al Lac, da Dvořák alle quattro note della vittoria

Krzysztof Urbanski ha diretto splendidamente la Quinta di Beethoven. Poco prima, una luminosa Julia Hagen al violoncello ha concesso il bis

Krzysztov Urbanski con solista la violoncellista Julia Hagen
(© OSI /L. Sangiorgi)
5 marzo 2023
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La Quinta Sinfonia (1807) di Ludwig van Beethoven e il Concerto per violoncello (1895) di Antonin Dvorak sono opere composte a novant’anni di distanza, saldamente collocate nell’Ottocento, dov’è tornata in retromarcia l’Orchestra della Svizzera italiana diretta da Krzysztov Urbanski, con solista la violoncellista Julia Hagen. Due opere famose, tra le più presenti nei nostri programmi sinfonici, legate a tanti ricordi per chi frequenta le stagioni concertistiche da più di settant’anni.

Julia è figlia d’arte, suo padre Clemens è il violoncellista del Quartetto Hagen di Salisburgo, fondato nel 1981 dai fratelli Lukas, Angelica, Veronica e Clemens con il sostegno della Baronessa Hildegarde von Münchhausen, nata a Salisburgo nel 1919, nel 1974 diventata cittadina di Brissago e per quarant’anni illuminata mecenate della vita musicale ticinese. Sono tra i melomani che ricordano gli inviti agli incontri musicali nella villa di Brissago, dove la qualità dei catering rischiava di far dimenticare la qualità delle esecuzioni musicali. E anche il Quartetto Hagen, dopo un concerto alle Settimane Musicali di Ascona, dava un concerto nella villa della Baronessa.

C’è stata qualche esitazione all’inizio del Concerto di Dvorak, forse fraintendimenti fra l’orchestra e Urbanski, che ha diretto senza spartito, tuttavia già quasi risolti quando è entrata in scena la solista, col dovuto cipiglio, poi lieta e pensosa, ma più prudente, forse intimorita dalla qualità dell’Orchestra. Nell’Allegro iniziale c’è un importante dialogo fra il violoncello solista e il primo flauto dell’orchestra ed è sembrato che lo splendido suono del flauto sovrastasse quello del violoncello. Julia Hagen ha comunque esibito un suono luminoso, sorretto da una tecnica sicura, ma dove ogni scelta agogica è sembrata ancora trafitta dalla ricerca. È stata la freschezza di un’interpretazione in divenire che ha sedotto il pubblico che con richiami insistenti ha costretto la solista a concedere un bis: un tempo di una Suite di Bach.

Qual è la sinfonia più famosa nella storia della musica occidentale? Anche la prima risposta che trovo in internet non lascia dubbi: "La Quinta di Beethoven, il cui inizio, secondo le parole del compositore stesso, rappresenta il destino che bussa alla porta". Parole che non sono datate o eccessive per una composizione alla quale sembra non manchi una sola nota e nemmeno ne abbia una di troppo. Quattro tempi, diversi tra loro, che dopo alcuni ascolti, possono diventare patrimonio culturale non solo dei melomani.

La Sinfonia si apre con quattro celebri note che animano tutto l’Allegro con brio iniziale: sol-sol-sol-mi, tre crome e una minima, che è comodo rappresentare con ". . . _", la lettera v dell’alfabeto Morse. Quando nel 1941 Winston Churchill divenne capo del Governo inglese, con l’Inghilterra sotto l’attacco dell’esercito della Germania di Hitler, cercò di rincuorare il suo popolo salutando con la mano alzata, l’indice e il medio divaricati a formare una V di Victory, fece precedere trasmissioni della Bbc dalle quattro note di Beethoven, aprì molti comunicati scritti con i tre punti e la linea dell’alfabeto Morse.

Non so quanto la guerra in Ucraina possa aver caricato emotivamente l’esecuzione della Quinta di Beethoven. Krzysztof Urbanski l’ha diretta in modo splendido, cercando con tempi leggermente veloci di evitare ogni magniloquenza. L’Orchestra, sempre ancora in gran forma, con soli ventotto archi sulla base di tre contrabbassi, ci ha ricordato quanto sia opportuno, oltre che storicamente corretto, eseguire Beethoven con formazioni quasi cameristiche.


© OSI /L. Sangiorgi

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