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Recordando a Pablo Milanés

Storie di vita e d’arte del faro della Nueva trova cubana, spentosi il 22 novembre 2022 a Madrid. Di lui, Martha Duarte ha trascritto l’intera opera

1943-2022
(Keystone)
2 marzo 2023
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"Provo tanta, tanta tristezza. E siccome so che non passerà, ma riposerà in un posto in cui farà meno male e ci nutrirà, ora che hai intrapreso l’eterno volo ho deciso di dedicarti queste parole". Quello di Martha Duarte Mustelier è un lungo scritto che sa di musica suonata e soprattutto vissuta. Il destinatario di questo estratto è Pablo Milanés, faro della Nueva trova cubana, spentosi il 22 novembre del 2022 a Madrid; le parole di Duarte sono di cinque giorni dopo. "Grazie, non ho pubblicato nulla, non ho la forza. Ma lo farò", aveva risposto dalla sua pagina a chi, nel giorno della morte del cantautore, le ricordava "il libro dedicato con tutto il tuo amore".

Il libro è la ‘Obra integral’, la trascrizione dell’opera omnia di Milanés che si deve proprio a Duarte, cantante, compositrice, arrangiatrice, prima violinista donna a diplomarsi al conservatorio dell’Avana, la cui vita scorre tra Minusio e Cuba. «Come quasi tutti i cantautori – ci dice Duarte – Pablo possedeva il genio della creazione, ma non la formazione musicale necessaria per scrivere la sua opera, mastodontica, viva nei suoi dischi ma non perpetuabile in forma scritta. Perché nel susseguirsi dei formati audio, che vanno e vengono come il vinile, la partitura trascenderà il tempo. Io ho portato sul pentagramma ciò che Pablo suonava e cantava, ne ho prodotta una riduzione per voce e pianoforte, ma che fosse suonabile anche per chitarra. Ho fatto questo lavoro anche in contatto con lui, andavo a casa sua e glielo solfeggiavo. E lui era felicissimo». Chi era Pablo Milanés, Martha? «Pablo Milanés è la colonna sonora mia e della mia generazione, ma anche di altre generazioni successive. Ha cantato di tutto, dal bolero al filín (stile che arricchiva la chitarra dei trovadores con sonorità jazzistiche, ndr), in progetti sempre molto particolari e d’avanguardia. Grazie a lui e a Silvio Rodríguez, negli anni 70 si è creato il movimento della Nueva trova. Loro le bandiere. Volendo paragonare Pablo con esponenti della musica europea, potrei citare Pino Daniele».


L’opera completa

Più che il Conservatorio, la strada

La Nueva trova cubana è movimento cultural-musicale la cui fondazione viene fatta coincidere con il concerto di Milanés, Rodríguez e Noel Nicola alla Casa de Las Américas de L’Avana, febbraio 1968, anche se l’anno importante è quello del 1972. Quell’onda toccherà l’America latina tutta, caratterizzandosi per la cura dei testi e per i contenuti socio-politici. Nello specifico, la discografia completa di Milanés conta una cinquantina di album.

Nato a Bayamo il 24 febbraio 1943, Pablo Milanés inizia a cantare come dilettante alla radio; il trasferimento della famiglia all’Avana, all’inizio degli anni 50, gli dà l’occasione di entrare in contatto con la tradizione musicale cubana a partire dai musicisti di strada, nei quali il futuro cantautore trova ispirazione più intensa che non negli studi al Conservatorio. Influenzato dalla musica nordamericana e brasiliana, si fa le ossa nei gruppi locali, fino ad avere un ruolo da protagonista nel Cuarteto del Rey. Nel 1963 compone la sua prima canzone (‘Tú mi Desengaño’), punto di partenza per la costruzione di un proprio linguaggio musicale fatto di amore, impegno politico e sociale. Tra i brani più noti – ‘No me pidas’, ‘Los caminos’, ‘Pobre del cantor’, ‘Yo no te pido’, ‘Los años mozos’, ‘Cuba va’, ‘Hoy la vi’ – spicca ‘Yolanda’, parte di una produzione che ha coperto cinque decadi, ‘remunerata’ con due Latin Grammy e molti riconoscimenti in patria e fuori. Uno anche in Italia, il Premio Tenco 1994, da cui il disco ‘Omaggio’, le sue canzoni riproposte dal miglior cantautorato italiano.

Rivoluzione

Pablo Milanés ha cantato anche la rivoluzione cubana, ma senza mai esimersi dal criticarla per gli errori commessi, e pagando le conseguenze della propria onestà intellettuale. Tra le sue ultime disposizioni in questo senso, c’è quella di non essere seppellito in patria. Duarte: «L’abbiamo vissuta come un dono di Dio, la rivoluzione, perché inizialmente nata e retta da principi forti e belli. Pablo l’ha difesa con i denti e con la voce. Trenta, quarant’anni dopo ci siamo accorti che non era esattamente ciò che avevamo pensato fosse. Lui è stato uno dei primi artisti a muovere critiche, e per questo ha sofferto. Si è tentato di metterlo da parte, lo si è censurato, con quella censura mai ufficiale, tipicamente cubana».

Due testimonianze: «Nel 1992, quando già avevo iniziato la trascrizione della sua musica, Pablo parlò per la prima volta della sofferenza del nostro popolo a Radio Caracol, in Colombia; parlò degli artisti cubani migrati all’estero e di come fosse evidente che si trattasse di una migrazione economica; disse che la Rivoluzione aveva fatto tanto per garantire un’istruzione al suo popolo, senza però assicurargli un lavoro, o paghe sufficienti per vivere. Entrò in discorsi precisi, portando fatti e facendo nomi. Negli anni di Obama, Pablo disse anche come a Cuba si fosse passata tutta una vita a parlar male degli americani che, comunque, un presidente nero alla fine l’avevano eletto, mentre da noi la discriminazione continuava».


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Al centro, Milanés e Duarte

La seconda testimonianza: «Festeggiavo il decennale della mia carriera e la televisione cubana venne a casa mia per un’intervista, solo per me; c’erano diversi libri messi sopra un tavolo, compreso quello delle trascrizioni della musica di Pablo, particolarmente bello perché l’editore aveva voluto in copertina caratteri di stampa in polvere d’oro; la telecamera fece una carrellata, mentre la voce fuori campo elencava tutte le mie esperienze, anche quelle come trascrittrice della musica di Pablo, di Silvio Rodríguez e di Compay Segundo. Di quel servizio, per molto tempo non seppi più nulla. Chiesi che fine avesse fatto e mi garantirono che non era stato censurato. Andò in onda tanto tempo dopo, con un taglio alla voce fuori campo nel momento in cui i libri vengono inquadrati. Si sente soltanto "trascrittrice di Compay Segundo" e di nessun altro. Ma sono stata testimone di tante altre cose spiacevoli messe in atto nei suoi confronti».

Limitatamente alla musica, testimone non meno diretta Martha Duarte lo è anche dell’epopea della Nueva trova, avendone registrato i dischi come violinista, anche all’interno dei vari ensemble destinati alla parte sinfonica di molte di quelle opere. «Con Pablo ho registrato cinque dischi, con Silvio di più. Ma non si trattava solamente di registrare, bensì anche di fare concerti, compresi quelli per celebrare la rivoluzione, perché si sa, gli artisti muovono il mondo. Eravamo i musicisti del momento, negli eventi del momento, come il Festival di Varadero, sulla spiaggia per antonomasia di Cuba, dalla quale sono passate figure internazionali importantissime».


Keystone
Madrid, 23 novembre 2022

‘Le mie parole sono rimaste nel vento’

Pablo Milanés è morto in Spagna. Gli ultimi suoi figli li ha avuti da una donna spagnola ed è in terra iberica che è stato a lungo curato. Stanti le ultime volontà, va da sé che l’artista non potesse che morire a Madrid. «Nel 1999, quando le trascrizioni furono presentate a Cuba – spiega Duarte – Pablo si oppose alla presenza delle cariche ufficiali, perché alla fine Cuba non è mai stata all’altezza di quanto lui le ha dato, né all’altezza della verità che di lui avrebbe dovuto raccontare».

La morte della figlia 50enne, un anno fa, colei che portava avanti la sua carriera dall’altra parte dell’oceano, ha pesato non poco sulle già precarie condizioni di salute di Milanés, impossibilitato a muoversi per via delle cure: «Credo che sia stato un colpo troppo forte. Nonostante fosse molto debole, lo scorso maggio era tornato in patria per un concerto che io ho sentito come un ultimo saluto al pubblico cubano. E anche in quel caso, Cuba non è stata all’altezza: hanno avuto paura che Pablo potesse utilizzare la scena per un evento politico, cosa di cui non aveva bisogno». Nel 2017, all’Associated Press, Milanés era stato chiaro: "Penso che sia ora che il popolo cubano parli da solo, io non devo più parlare per loro". E ancora: "Non è che non mi piace parlare di politica, ma il fatto è che sono stanco. Ho 74 anni e parlo di politica da 24 anni, e le mie parole sono rimaste tra le nuvole, nel vento". Duarte: «Si sono persi la possibilità di fare una grande cosa, e hanno cercato una volta in più di silenziarlo. Il concerto fu bellissimo. Poi lui tornò in Europa, e sappiamo com’è andata».

‘Hai visto cosa ho fatto in cucina?’

Portare sul pentagramma quel che Milanés faceva con la voce, a Cuba lo chiamano «un lavoro da cinesi. Ma da cinesi importanti, non di quelli che fanno le copie…». Martha Duarte ci lascia con le piccole cose di Pablo, uno che «cucinava come un dio e faceva grandi cene per gli amici. In una di queste l’ho visto preparare il maialino come solo lui sapeva fare, e il riso con i fagioli, l’arroz congri, come lo chiamiamo noi. Lo aiutavano, perché era seduto su una sedia a rotelle, essendo stato operato poco prima. Mi ha detto: "Hai visto cosa ho fatto in cucina? È la cosa che mi piace di più dopo il canto". Quello fu per me un insegnamento di vita molto forte: lo guardavo e mi dicevo che aveva tutto, la voce più bella, le canzoni più belle, e se ne stava su di una sedia a rotelle senza potersi godere la sua cucina come avrebbe voluto». Di quella voce: «Ho avuto la possibilità di sentirlo cantare appena alzato al mattino, ed era fantastica. L’ho sentito cantare con la faringite, una delle minacce più grandi per i cantanti, e cantava come quando era in salute. Gli dicevo sempre che aveva la voce equalizzata».

Pablo Milanés è morto il 22 novembre, giorno di Santa Cecilia, patrona della musica. «Credo sia stato un regalo che gli ha fatto il cielo».


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Martha Duarte Mustelier

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