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‘Decision to Leave’, Park Chan-wook è da manuale del cinema

A metà tra il dramma e il poliziesco ma con tinte romantiche, capace anche di strappare una risata, è l’ultimo film del regista di ‘Oldboy’, nelle sale

Miglior regia a Cannes 2022, candidato ai Golden Globe 2023 e ai BAFTA
3 marzo 2023
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A sei anni dal suo ultimo film, ‘Mademoiselle’, ritorna il regista sudcoreano Park Chan-wook, strizzando un occhio a quell’‘Oldboy’ che l’aveva reso noto al grande pubblico. ‘Decision to Leave’ è permeato da un’atmosfera surreale che in più momenti sfiora l’onirico, meritatissimo vincitore del Prix de la mise en scène a Cannes e in competizione per la Palma d’Oro.

Jang Hae-jun è un detective di grande abilità della polizia di Busan, dedito al proprio lavoro tanto da perderci il sonno e sposato con la bella Jung-an, impiegata presso la lontana centrale nucleare di Ipo. L’equilibrio interno di Hae-jun è sconvolto dall’apparente suicidio del sessantenne Ki Do-soo, abile scalatore precipitato da un dirupo, ma soprattutto dalla conoscenza della vedova, Song Seo-rae, bellissima donna di origini cinesi. Fin dal primo momento, Seo-rae attira su di sé i sospetti della polizia, poiché dimostra un forte distacco emotivo dalla vicenda, che non sembra averla turbata in alcun modo. Hae-jun inizia dunque un lungo pedinamento della donna, convinto di un suo coinvolgimento, imparando progressivamente a conoscere il suo difficile passato, la sua persona e rimanendone in un qualche modo stregato. Allo stesso modo, Seo-rae s’invaghisce del detective e si crea tra i due un rapporto in direzione della sindrome di Bonnie e Clyde, o ibristofilia, con conseguenze importanti sull’onestà morale e sulla volontà di giustizia di Hae-jun, disposto a sacrificare la propria identità per l’amore che prova. Inevitabilmente, l’approfondirsi del loro rapporto condiziona sempre più negativamente il lavoro e il matrimonio di Hae-jun, costretto a decidere tra il suo amore, forte e fulminante come se fosse adolescenziale, e i suoi solidi ideali, col rischio di non riuscire a mantenere intatto nessuno dei due.

‘Decision to Leave’ è un film che si iscrive nel grande cinema asiatico degli ultimi venti anni e che riconferma l’ascesa dei talenti cinematografici contemporanei della Corea del Sud, ormai non più solo emergenti. In questo caso, la componente divenuta classica del thriller viene in parte accantonata in favore di un approccio più psicologico. Hae-jun è un moderno Sherlock Holmes, vede ciò che agli altri è precluso ed è dotato di una capacità d’immedesimazione fuori dal comune, sottolineata dalle scelte registiche che lo proiettano nelle scene del crimine, ripercorrendo fatti e azioni di vittime e assassini. Molti sono i guizzi registici e le inquadrature particolari e suggestive, dove la macchina da presa si muove con una libertà tale da risultare onnipotente, collegando le scene tra loro con un montaggio alternato estremamente fluido e virtuoso, giocando con transizioni visive e sonore.

Le mani rivelatorie

Pochi primi piani e un ampio formato creano un collegamento tra i soggetti e lo spazio che li circonda, come se gli individui fossero insetti in un mondo molto più grande di loro, gli stessi che "banchettano" su un cadavere. Oltre a questa relazione personaggi-ambiente, è data una certa importanza alle mani. In particolare, quelle di Seo-rae fungono da elemento scultoreo e specchio dell’anima; come scrisse Rilke su Rodin, le "piccole mani autonome che, senza appartenere a un corpo, hanno vita", sono in questo film un elemento cruciale per capire non solo la personalità di Seo-rae, ma anche per sbrogliare i tanti enigmi che si creano, in un’indagine continua tra verità e menzogna.

Un film difficilmente iscrivibile in un solo genere, con una base che sta a metà tra il dramma e il poliziesco ma con tinte romantiche, capace anche di strappare una risata allo spettatore, come già ‘Parasite’ del collega Bong Joon-ho era riuscito a fare e che ricorda ‘Memories of Murder’, dello stesso regista. Coincidenza interessante l’inversione di ruolo per l’attore protagonista, Park Hae-il, l’ultimo iconico sospettato in ‘Memories of Murder’, che assume qui il ruolo di detective, rimanendo convincente fino alla fine.

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