Spettacoli

Al Lac c’è CORPOmemory, la danza a ‘passo’ di smartphone

Ariella Vidach e Claudio Prati presentano una performance in cui gli spettatori sono invitati a interagire usando i loro cellulari

16 gennaio 2023
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L’invito è di tenere acceso il cellulare e addirittura di usarlo. E non è un errore. Perché CORPOmemory è uno spettacolo che si fa insieme agli spettatori. Letteralmente. Il pubblico disposto sui quattro lati della scena, sulla quale stanno cinque interpreti e una cantante in dialogo continuo tra loro, è chiamato a partecipare attivamente ‘smanettando’ con i propri cellulari. Uscendo dalla tradizionale visione frontale, la disposizione degli spettatori a mo’ di arena vuol creare una percezione più partecipativa, coinvolgente e ‘immersiva’, in una situazione di equilibrio sia tra gli stessi spettatori, sia tra essi e chi sta sul palco.

Della scrittura di danza CORPOmemory – in questa forma una prima assoluta –, presentata al LAC di Lugano mercoledì 18 (ore 20.30), ci parlano gli autori Ariella Vidach, coreografa e danzatrice, e Claudio Prati, videoartista.

Come nasce l’idea di uno spettacolo a tal punto interattivo?

Vidach: ha avuto una gestazione assai lunga, iniziata già prima della pandemia. In precedenza avevamo avuto un’esperienza interessante con un progetto che coinvolgeva richiedenti asilo. Ciò ci aveva dato la possibilità di conoscere altre culture e differenti modalità di lavorare con il movimento. L’idea del corpo e della memoria del corpo si affronta soprattutto perché siamo ormai talmente tanto sollecitati da una serie di nuovi corpi, nuove culture, nuove relazioni che si creano nel sociale. Piuttosto che considerare quello della danza solo un linguaggio di élite e di ricerca pura, ma anche un linguaggio che permette di entrare in relazione con un mondo che sta cambiando, si è pensato di mettere in scena questo tipo di attrito che a volte diventa anche risorsa e opportunità per un’esplorazione di nuovi linguaggi del corpo nella danza.

Prati: sull’interattività noi lavoriamo sin dai nostri primi spettacoli, sperimentando tecnologie con il tentativo di coinvolgimento a un livello superiore da parte del pubblico. In questo caso, affrontando queste tematiche, cittadinanze, corpo nuovi, abbiamo pensato di rapportare il corpo del danzatore al corpo dello smartphone. Che è, quello del cellulare, una sorta di corpo che contiene tutte le nostre memorie (fotografie, materiali documentativi e via dicendo) e che ci portiamo appresso come se fosse un magazzino. Insomma, un corpo nel nostro corpo. Pensiamo ai migranti, con cui appunto avevamo lavorato in precedenza: essi portano con loro pochissime cose e il telefono è una di queste. Un oggetto che contiene sostanzialmente tutto ciò che hanno: la memoria di chi sono, delle loro relazioni, del vissuto anche in funzione di una situazione futura. In CORPOmemory lo smartphone sostituisce tecnologie interattive come computer e sistemi di cattura del movimento. L’intento è però che del cellulare non si replichi l’uso quotidiano, utilizzo che porta a un certo isolamento e al mettersi in relazione unicamente con l’oggetto; bensì che il telefonino diventi pure un elemento di partecipazione collettiva. Quindi attraverso una regia mobile che abbiamo sviluppato e un semplice collegamento, gli spettatori potranno ricevere messaggi, suoni, colori e inviare a loro volta testi, partecipando così in modo interattivo alle scene per le quali sono invitati a farlo.

Vidach: in tempo reale sugli schermi dei telefoni e sui fondali della sala verranno proiettate le parole scritte sia dal pubblico, sia dagli interpreti, che a loro volta in tal modo scrivono e si presentano, dando il ‘la’ a una sorta di dialogo con il pubblico. Un dialogo che il pubblico può accogliere, replicando o suggerendo. È così che le persone sono parte dello spettacolo.

Qual è lo scopo del vostro lavoro? Cosa vi aspettate?

Vidach: più che di scopi, parlerei di necessità. Si risponde allora alle nostre necessità, che immaginiamo essere le stesse degli altri. Un aspetto importante, che avvertiamo, è la sensazione che assistere a un lavoro non sia più sedersi passivamente, ma anche sentirsi parte dell’opera. Opera che deve aprirsi a una dimensione più partecipata e coinvolgente. Da qui l’utilizzo di un telefono, tecnologia a disposizione ormai di tutti e quindi anche sostenibile in termini di costi. Un altro aspetto è dare la possibilità agli spettatori di considerare il vissuto, il passato, di ricordare, avere una memoria e in qualche modo avere un’anima. La memoria è quello che si è e quello che si sente. E la memoria esiste, perché ci sono delle condizioni che hanno portato a vivere una vita in un certo modo; mentre esistono innumerevoli situazioni diverse. Tra le necessità c’è dunque anche quella di porsi il problema di un mondo che effettivamente ha enormi diseguaglianze e grandi disequilibri. E di conseguenza di mettere dunque in condizione di pensare, che l’arte è anche altro e non unicamente una ricerca legata a un linguaggio.

Prati: diciamo che il nostro obiettivo è la creazione artistica. Da sempre fare arte significa interrogarsi sul mondo, sulla relazione tra l’essere e il mondo e come questo cambia attraverso l’uso delle nuove tecnologie. Per ciò che ci riguarda, una ricerca artistica e tecnologica ci ha sempre contraddistinti ed è un fil rouge che ci guida da trent’anni.

Mettendo in relazione gli spettatori con gli altri spettatori e con gli interpreti sul palco, si rende pubblica una sfera intima. Perché?

Prati: perché in fondo è ciò che caratterizza lo smartphone e i social media. Con questi mezzi, quello che un tempo era privato è diventato pubblico. Poi quanto questo effetto sia un elemento voluto e di cui si ha coscienza, è un altro discorso. Negli ultimi tempi pare essere in atto una tendenza a una retromarcia: prima l’entusiasmo era quello di mettere a disposizione di tutti tutto, ma probabilmente una sfera privata e intima è meno da condividere.

È dunque un modo per farci riflettere?

Vidach: tutti gli elementi che contraddistinguono questo lavoro, hanno questo obiettivo, facendo nascere dei suggerimenti: dobbiamo pensare e ascoltarci un po’ di più, sapere usare le tecnologie in una maniera più partecipata e in modo creativo, meno isolante e standardizzata, occuparci non solo di noi stessi ma anche di tutto quanto ci sta attorno.

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