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Marina ‘Maude’ Massironi e ‘Le verità di Bakersfield’

L’attrice italiana con Giovanni Franzoni nell’opera teatrale di Stephen Sachs, a Bellinzona giovedì 10 e venerdì 11 marzo

Marina ‘Maude’ Massironi
(Marina Alessi)
9 marzo 2022
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Maude, 50enne ex barista disoccupata, vive dentro una roulotte in un trailer-park della periferia californiana. Ha acquistato un quadro a pochi dollari per un’amica e, casualmente, viene a sapere che quell’accozzaglia di segni e macchie senza un apparente senso potrebbe essere un capolavoro di Jackson Pollock; per assicurarsi che il dipinto non sia un falso o una copia, a Maude serve una perizia: in soccorso, col suo curriculum di tutto rispetto, arriva da New York l’esperto d’arte Lionel, dando il via a un imprevisto ribaltamento dei ruoli. Sintetizzato per noi da Marina Massironi, che in scena è Maude, al fianco di Giovanni Franzoni, che in scena è Lionel: «Il quadro è il punto dal quale indagare qual è la verità non solo dentro l’opera artistica, ma anche nelle vite dei protagonisti. ‘Le verità di Bakersfield’ è sì un’indagine sulla credibilità, ma anche sul capire dove si trovi l’autenticità, quale sia la verità, chi ha il potere di dirla, chi è credibile quando la dice».

Con la regia di Veronica Cruciani, ‘Le verità di Bakersfield’ è la versione italiana di ‘Bakerfield Mist’ di Stephen Sachs. Dalla lunga esperienza teatrale iniziata nel 1984, già con Dario Fo nel suo ‘Sotto paga, non si paga’, già David di Donatello e Nastro d’argento come attrice non protagonista in ‘Pane e tulipani’, il grande pubblico è affezionato a Marina Massironi anche quale sorta di ‘quinto Beatles’ nel trio Aldo Giovanni e Giacomo. L’attrice, cabarettista e anche doppiatrice italiana – la sua voce più recente è quella della Signora Marsigliese in ‘Luca’, film Pixar di Enrico Casarosa – sarà al Teatro Sociale giovedì 10 e venerdì 11 marzo alle 20.45 nel ruolo che, in lingua originale, fu anche di Kathleen Turner. Dopo la ‘prima’, l’incontro con la compagnia (biglietti presso l’InfoPoint di Bellinzona, su www.ticketcorner.ch e relativi punti vendita).

Marina Massironi, perché questo testo?

Perché l’ho trovato interessante, perché passa attraverso la percezione dell’arte. Alterna momenti di leggerezza a momenti più consistenti, intimi, a tratti commoventi. Mi piace perché riflette quanto si vive quotidianamente, e anche perché non costruisce barriere che incanalano forzatamente verso una commedia che debba essere ridanciana a tutti costi. È un testo leggero che veicola uno spunto di riflessione assai interessante.

Chi è Maude e come si colloca tra le ‘sue’ donne, quelle che ha portato in teatro e al cinema?

Mi piace Maude, è una donna che non ha potuto prendere il suo ascensore sociale, che è grezza, anche nel suo linguaggio, una donna che non ha una grande cultura ma mostra un fortissima intelligenza, emotiva e non soltanto. M’incuriosisce e m’interessa percorrere strade leggermente diverse, non ho paura delle sfide, credo che il lavoro di attore sia bello proprio perché offre la possibilità di non fermarsi a fare sempre le stesse cose, ma di valutare altre opzioni. Un testo teatrale accende la mia attenzione anche dal punto di vista personale, al di là del lavoro, scelgo le cose che faccio anche in base a quel che vorrei vedere a teatro. E in questo caso, come sempre, non mi sono chiesta più di tanto se mi piacesse o meno uscire da un percorso per entrare in un altro, perché per me è sempre un unico percorso.

Marina Massironi è un’appassionata d’arte?

L’arte mi piace, ma non sono una collezionista. Vedo mostre, anche casualmente, portata nei più disparati musei o pinacoteche dal lavoro che faccio, e se trovo la mostra che suscita il mio interesse la visito, che sia quella di un artista contemporaneo oppure di un classico. Non sono ‘ordinata’, mi avvicino all’arte più da Maude che non da Lionel, mi faccio guidare dalle scelte istintive, non essendo una studiosa.

Con il massimo rispetto per le sue altre ‘anime’, il suo farci ridere, o anche solo sorridere, è salvifico quanto mai in questo momento…

La risata non è sempre e soltanto divertimento fine a sé stesso, penso alle commedie di Fo, costruite come farse divertentissime ed esilaranti, ma capaci di veicolare messaggi importantissimi. Ben venga dunque la risata, che è anche un modo per stare più vicini, a maggior ragione in questo periodo così divisivo per la gente, ora che una risata può avere una valenza in più. Relativamente a questo spettacolo, non è tutto divertente e si permette momenti più seri. Ma a teatro va bene tutto: si può scegliere di andarci per ridere, in un tale momento, o per approfondire temi meno allegri, caricandosi liberamente di altri pesi. Non è sbagliato nulla. Quello che è giustissimo è tornare a teatro, che è già una grande cosa.

Dopo questi due anni divisivi, senza chiamare in causa gli ultimi eventi bellici, il teatro è cambiato?

Innanzitutto, spero che tutta questa tensione arrivi a sciogliersi in breve tempo perché è inevitabile che si rifletta non solo sull’umore, ma anche sulle certezze del nostro quotidiano, reso già incerto dai giorni del Covid. Non credo, per ora, che sia necessario cambiare qualcosa, può invece essere un’occasione di sensibilizzazione: alla fine dell’ultimo spettacolo, giorni fa, abbiamo proiettato i colori della bandiera ucraina prendendo una posizione in questo senso, un gesto che ci sentivamo di fare per l’essere in relazione col pubblico al di fuori dello spettacolo.

È cambiato il suo modo di scegliere un testo, o di portarlo in scena?

Non per questo testo. In me è cambiato forse il modo di stare con la gente, ma è una sfumatura. Una sfumatura ancor più preziosa per condividere il momento di uno spettacolo.

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