L’intervista

Il Maestro e Di Battista (jazz e cinema in ‘Morricone Stories’)

Sabato 27 novembre il Cinema Teatro di Chiasso ospita Stefano Di Battista col progetto dedicato a Morricone: tutto ebbe inizio a Roma, qualche anno fa...

‘Hai con te il sax? Allora prendilo, che ti scrivo un brano’
25 novembre 2021
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«Quel giorno fu magico. Non ero previsto a quella cena, la mia presenza si deve all’amico Stefano Leali in primis e a Giorgio Rosciglione, che tanto gli aveva parlato di me. Morricone fu divertente. Mi disse: “Allora sei tu Stefano Di Battista!”, come dire “mi hanno fatto una testa così!”. Discutemmo del più e del meno, mi chiese da dove venissi e io gli parlai della mia famiglia, una famiglia di ristoratori, mia madre grande lavoratrice e mio padre pure. Mi accorsi che più gli raccontavo della mia vita, più lui rimaneva affascinato da questo mondo fatto di semplicità, anche un po’ periferico. Mi diede corda, nonostante ci fossero persone molto più importanti di me. Evidentemente aveva un suo modo di analizzare le persone…».

È la festa per l’Oscar alla carriera del Maestro, ve n’è testimonianza in rete; è la notte in cui Morricone prende carta e penna e scrive di getto ‘Flora’. A raccontarcelo, oggi, è Stefano Di Battista, sassofonista romano tra i più apprezzati d’Italia e fuori d’Italia, già uomo Blue Note, già con Elvin Jones nell’album d’esordio, già in ‘Both Worlds’ di Petrucciani e in tanto altro jazz. Ma pure nei migliori salotti cantautorali (suo l’assolo ne ‘Il negozio di antiquariato’ di Niccolò Fabi) e sanremesi, con la moglie Nikki Nicolai nei due bei capitoli di canzone d’autore ‘Che mistero è l’amore’ e ‘Più sole’. Di Battista, quasi a rendere il favore di quella notte, porta al Cinema Teatro di Chiasso il suo ‘Morricone Stories’, album uscito nell’aprile di quest’anno. Sabato 27 novembre alle 20.30 (per ‘Tra jazz e nuove musiche’, in collaborazione con Rete Due), il jazzista italiano si presenta insieme ad Andrea Rea al pianoforte, Daniele Sorrentino al contrabbasso e Luigi Del Prete alla batteria.

Stefano Di Battista, fu così che Ennio Morricone compose ‘Flora’, dedicata a tua figlia…

Sì. Mi chiese se avessi con me il sax e io, convinto dagli amici a portarlo, risposi di sì. E lui: “Allora prendilo che ti scrivo un brano”. Nel panico generale, il maestro prese un foglio di carta pentagrammata e scrisse questa melodia, chiedendomi di suonarla; visto che la partitura includeva le note più alte, col cuore in gola suonai il tema un’ottava sotto, nel terrore di sbagliare davanti a tutti; lui, carinamente, si fermò per chiedermi di eseguire com’era scritta.

‘Morricone Stories’, dunque, è un po’ figlio di quella notte. Come nasce?

Nasce perché, in seguito, la conoscenza con il Maestro diventò anche amicizia. Mi sono sempre rapportato a lui con grande rispetto e paura. Un giorno gli dissi che sarebbe piaciuto anche a me fare un disco sulle sue musiche; lui mi disse “lascia perdere, ma chi te lo fa fare, fai altro!”, forse per invogliarmi a fare cose mie, forse perché non si fidava molto dei jazzisti, vai a sapere perché. Ho registrato ‘Morricone Stories’ mentre era ancora in vita, poi abbiamo atteso del tempo per farlo uscire, perché appena completata la registrazione lui è venuto a mancare. È stato un lavoro non facile dal punto di vista psicologico, mi pesava molto il fatto che si trattasse di musica del Maestro e l’idea che un giorno lo avrei coinvolto nell’ascolto, responsabilità enorme.

Il maestro non ha sentito proprio nulla di questo disco?

Purtroppo no. Ho avuto i complimenti del figlio Andrea, cosa che mi fa tanto piacere. E comunque quest’avventura ha mosso dentro di me corde che non credevo potessero essere mosse. Sono brani che suoniamo già da un po’ non mi era mai capitato di trovarmi di fronte a una tale godibilità. Sembra quasi che ogni volta che suoniamo un suo brano si rigeneri la voglia di eseguirlo di nuovo.

Venendo ai brani: quanto difficile è stato rinunciare, oltre che scegliere?

È stata la cosa dolorosa, quasi imbarazzante. Già dover fare una selezione sulla musica del Maestro è una specie di vergogna. Ogni brano è una meraviglia e ogni volta che si capitava su di un brano ci si diceva che era da fare. Ci siamo fermati al 18esimo, altrimenti ne avremmo dovuti registrare a centinaia. Ma la cosa che più mi ha colpito di quest’avventura è stata l’inaspettata reazione arrivata da brani come ‘La cosa buffa’, ‘Il grande silenzio’ o ‘Novecento’ (‘Apertura della caccia’, ndr), che nemmeno ricordavo. Lì ho avuto conferma della maestria del compositore.

Morricone era caustico sulla forma canzone, per altro da lui arrangiata in modo rivoluzionario. Di Battista, in questi ambiti, l’ha portata in mondi jazzistici conservandone l’identità popolare…

Sì, certamente. Credo che la canzone sia un’espressione di grande condivisione di cui in molti sono riusciti a fare un’arte. Stili, modi di comporre diversi, ma un linguaggio molto potente, perché associato alle parole. Dette senza musica, le parole possono anche entrare e uscire senza restare; dette con la musica, rimangono e così rimane la musica. A oggi, la canzone si è evoluta, ma io resto legato a quelle vecchie, alle napoletane, a quelle dei grandi compositori. La canzone moderna mi piace, ma la fascinazione continua a nascere in me da cose che arrivano da lontano.

Durante il lockdown, Repubblica è entrata ‘Da Peppe a Tor Cervara’, il tuo ristorante, connubio di cibo e musica dal vivo…

Vengo da una famiglia di ristoratori, come dicevo. Ho purtroppo perso entrambi i genitori, ma promisi a mio padre, che nella fase finale della sua vita me lo chiese, di tenere l’attività. Mi sembrava un gesto di gratitudine. Se oggi faccio quello che faccio, gran parte del merito, forse tutto, è loro, per l’avermi sempre appoggiato. Sai, quando diventi grande diventi più consapevole del sacrificio che hanno fatto, e così mi sono ritrovato in un mondo di cibo, incontri e musica, molto divertente. Il jazz è condivisione, è stare insieme. Anche la ristorazione, se fatta con il cuore, con i sorrisi, lo è. Già la parola ‘ristoro’ è positiva. E il jazz è anche una questione d’ingredienti.

E nella tua ‘Metti, una sera a cena’, per esempio, gli ingredienti sono molto ricchi…

‘Metti, una sera a cena’ strizza un occhio al Coltrane con Cannoball Adderlay, una parentesi che ci ha portati in un mondo più bebop. Ma a parte il terrore di fare ascoltare il risultato finale al diretto interessato (ride, ndr), Morricone è stato affrontato con grande attenzione alla matrice, intesa come velocità del tempo, note e accordi, cambiando giusto piccole cose, con grande disciplina. Perché ciò che Morricone ha scritto è qualcosa di molto grande, e che merita sempre il massimo rispetto.

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