La recensione

Osi alle Officine, la costruzione dello spazio sonoro

Insieme alla qualità delle esecuzioni musicali, l’impegno di affrontare una logistica nuova, operazione fisica ma anche psicologica

Sabato 30 ottobre (© Photolocatelli.ch)
1 novembre 2021
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Bellinzona si è dotata l’anno scorso di un eccellente progetto di sviluppo del Nuovo Quartiere Officine destinato a concludersi fra cinquant’anni, quando verosimilmente i treni non viaggeranno più su rotaie e le automobili non avranno più un autista al volante. In esso vi è conservata la ‘Cattedrale’, il grande edificio industriale dichiarato monumento protetto, che sabato scorso è stato adibito a sala da concerto e ha ospitato l’Orchestra della Svizzera Italiana diretta da Markus Poschner con solista la violinista Baiba Skride.

È stato un evento di grande successo, anzitutto per l’alta qualità delle esecuzioni musicali, ma anche per l’impegno nell’affrontare una situazione logistica affatto nuova, con lo zelo e la cortesia degli addetti all’organizzazione veramente encomiabili.

Su un palco decorato di fiori hanno trovato posto con agio sessanta orchestrali in tenuta di gala, sotto di loro, su sedie e panche, forse cinquecento ascoltatori. La ‘Cattedrale’, svuotata e trasformata in sala spettacoli, potrebbe contenere almeno duemila spettatori, ma non è cosa intanto immaginabile: le peculiarità architettoniche delle sale da concerto che si progettano adesso sono ben diverse.

Il programma, che è stato ripetuto la sera dopo nel Teatro Nuovo di Udine, si è aperto con il poco noto Movimento sinfonico ‘Blumine’ di Gustav Mahler, che porta la data 1888 con una revisione nel 1893. Si tratta di una musica elegiaca, collocabile in pieno meriggio romantico, che alla fine cala nel silenzio e si chiude con tre note pizzicate sulle corde dell’arpa. Sul programma di sala il musicologo Giovanni Gavazzeni, suggerisce che Poschner possa averla scelta per ricordare quanto Mahler apprezzasse in Ciajkovskij l’apertura della sinfonia a spunti autobiografici.

Il Concerto per violino e orchestra di Erich Wolfgang Korngold è stato terminato nel 1946 e sarebbe sospettabile di anacronismo, se alcuni grandi violinisti, a cominciare da Jasha Heifetz che ne ha curato la prima esecuzione, non l’avessero in repertorio. Onore dunque a Baiba Skride, al direttore e all’orchestra che l’hanno assecondata in una splendida esecuzione. Il suono del violino sempre distinto da quello dell’orchestra, la disinvoltura nei passaggi tecnicamente difficili contrapposti a un’orchestra agile, attenta alla cura dei dettagli. Non un combattimento, secondo l’etimo latino “certamen”, ma una moderna ricerca di relazioni, di stimoli reciproci, insomma un concerto salvato dalle ricadute ottocentesche.

Gran finale con la Quinta Sinfonia di Piotr Il’ič Ciajkovskij, già eseguita in concerto al LAC un mese fa. Nonostante l’acustica nelle Officine sia alquanto più ridondante che nella Sala Teatro del LAC, o forse proprio per questo, l’esecuzione di Bellinzona mi è sembrata ancora migliore, quanto meno più emozionante.

Dire che Poschner sia alla ricerca di partiture originali, ripulite dalle incrostazioni che si sono formate nel tempo e che possono anche aver falsato il pensiero, le intenzioni del compositore, mi sembra cosa ovvia, ogni direttore serio lo fa. Tanto meglio se poi scopre che le prime esecuzioni avvennero con un numero di archi piccolo, come nella nostra Orchestra. Ma attenzione nell’affermare che sia alla ricerca di interpretazioni storiche, può essere quanto meno forviante. Il compositore sul pentagramma non può scrivere tutto, tocca alla libera scelta dell’interprete aggiungere quanto manca. Ogni esecuzione di una stessa opera deve essere qualcosa di affatto nuovo, guai se cercasse di essere la fotocopia di una precedente. Fotocopie sono le registrazioni discografiche che ascoltiamo ad libitum, mentre l’ascolto di un concerto in presenza non può essere che un unicum.

Essenza di un’interpretazione è l’occupazione, anzi la costruzione dello spazio sonoro circostante, che è un’operazione fisica, ma anche psicologica se il direttore oltre all’orchestra sa coinvolgere il pubblico con il suo silenzio assordante. Penso con commozione agli spazi sonori che, a un mese di distanza, Markus Poschner e l’Orchestra della Svizzera Italiana hanno costruito nella Sala Tetro del LAC e nella “Cattedrale” delle Officine.

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